Lo scorso venerdì l’udienza a Vancouver per la cauzione legata all’arresto di Meng Wanzhou, CFO di Huawei e figlia del fondatore Ren Zhengfei. L’incontro ha permesso di conoscere nel dettaglio le ragioni dell’operazione svolta dalle autorità canadesi su richiesta di quelle statunitensi, facendo scattare le manette nella giornata dell’1 dicembre: l’accusa è di frode.
L’accusa: frode
Nel dettaglio, Meng avrebbe dato il proprio contributo nella costruzione di un complesso impianto finalizzato a eludere le istituzioni e operare in violazione delle sanzioni commerciali contro l’Iran. Stando a quanto affermato da John Gibb-Carsley, procuratore del Dipartimento di Giustizia del Canada, sarebbe stata coinvolta direttamente nei rapporti che hanno legato Huawei ad alcuni istituti bancari tra i quali figura la britannica HSBC.
La vicenda è complessa. Secondo l’accusa, tra il 2009 e il 2014 Meng avrebbe fatto uso dell’azienda Skycom Tech con sede a Hong Kong per portare a termine transazioni con l’Iran e per collaborare con operatori telefonici nel paese mediorientale, andando così contro quanto previsto dalle sanzioni fissate dagli Stati Uniti, passando attraverso le già citata HSBC, a sua volta ritenuta parte lesa.
Skycom Tech, Huawei e l’Iran
Una dinamica già descritta nel 2013 da Reuters, quando proprio attraverso Skycom Tech il gruppo cinese avrebbe tentato di introdurre sul territorio iraniano apparecchiature informatiche di vario tipo, inclusi computer a marchio Hewlett-Packard. A tal proposito, Meng si difende affermando che la collaborazione è sempre stata portata avanti in conformità con quanto previsto dalle normative e che le quote di Skycom Tech un tempo detenute da Huawei sono state cedute.
Per Gibb-Carsle quest’ultimo dettaglio non ha alcuna importanza, poiché Huawei avrebbe fino ad oggi controllato l’azienda di Hong Kong come una sussidiaria non ufficialmente riconosciuta, utilizzandola per attività commerciali come quella finita ora sotto la lente di ingrandimento delle autorità d’oltreoceano. Un’ipotesi rafforzata dal fatto che i dipendenti di Skycom Tech avrebbero per lungo tempo utilizzato un indirizzo email riconducibile al dominio di Huawei e badge con il logo del gruppo. Ancora, la società che nel 2009 ha acquisito Skycom Tech sarebbe stata controllata da Huawei, almeno fino al 2014. Non sono stati rivelati i dettagli né sulla cauzione fissata né sulle eventuali sanzioni stabilite per Huawei e per la sua Chief Financial Officer. Una seconda udienza è prevista per queste ore.
La vicenda richiama alla mente quella del 2016 che ha visto al centro dell’attenzione ZTE, anch’essa ritenuta colpevole di aver siglato accordi commerciali con l’Iran attraverso società intermediarie nascoste.
Meng Wanzhou, l’arresto
Come detto in apertura, Meng è stata fermata a Vancouver nella giornata dell’1 dicembre, dopo che il mandato d’arresto era stato firmato dalla Eastern District di New York il 22 agosto e sottoscritto il 30 novembre dalle autorità canadesi, una volta a conoscenza del suo passaggio nell’aeroporto locale per un collegamento tra Hong Kong e il Messico. Stando alla ricostruzione del New York Times, la CFO ha viaggiato con regolarità negli USA tra il 2014 e il 2016, interrompendo la sue visite nel marzo 2017, dopo che Huawei è venuta a conoscenza di un’indagine sul suo operato. Secondo il suo avvocato, David Martin, la sua prolungata lontananza dal suolo americano (dove risiede uno dei tre figli, a Boston) non è da attribuire alle investigazioni, bensì alla cessazione del business di Huawei negli USA legata alla decisione di metterne al bando i prodotti.
All’orizzonte c’è l’ipotesi di estradizione negli Stati Uniti. Potrebbero trascorrere diversi mesi prima che sia presa una decisione definitiva. Quanto accaduto rischia di inasprire ulteriormente i rapporti già non semplici tra due superpotenze mondiali come gli USA e la Cina, in un momento delicato. Sul piatto c’è anche la fornitura delle infrastrutture che andranno a costituire le reti 5G: a tal proposito, da oltreoceano è già arrivata la richiesta (anche all’Italia) di non utilizzare le componenti di Huawei per l’allestimento dei network, un invito raccolto nelle scorse settimane dalla Nuova Zelanda.