La Data Protection Commission (DPC) ha annunciato la conclusione di due indagini avviate oltre quattro anni fa nei confronti di Meta, in seguito alle denunce presentate da noyb, organizzazione guidata dal noto avvocato Max Schrems. L’azienda di Menlo Park dovrà pagare una sanzione complessiva di 390 milioni di euro per la violazione del GDPR (Regolamento generale sulla protezione dei dati).
Annunci personalizzati: Meta deve chiedere il consenso
In seguito alla decisione adottata dall’EDPB (Comitato europeo per la protezione dei dati), la DPC ha dovuto correggere i risultati delle sue indagini in merito all’uso delle inserzioni personalizzate su Facebook e Instagram. Il garante della privacy irlandese aveva dato ragione a Meta, consentendo l’uso della base legale che prevede la raccolta dei dati per l’esecuzione del contratto accettato dagli utenti al momento della registrazione.
Secondo noyb, Meta ha illegalmente aggirato l’obbligo di chiedere un consenso esplicito, affermando che l’elaborazione dei dati è una “necessità contrattuale”. L’azienda di Menlo Park dovrà ora aggiungere un’opzione specifica (opt-in) entro tre mesi. Se l’utente nega il consenso, Meta non può utilizzare i dati personali per le cosiddette inserzioni comportamentali. Una simile decisione è attesa anche per WhatsApp.
L’azienda californiana ha già annunciato che presenterà appello, in quanto ritiene corretto il suo comportamento. Ciò significa che non pagherà la multa di 390 milioni di euro (210 milioni per Facebook e 180 milioni per Instagram). Meta afferma inoltre che la decisione non impedisce l’uso delle inserzioni personalizzate e che non è necessario il consenso degli utenti.
Secondo l’avvocato Max Schrems, la DPC ha incontrato più volte Meta per “concordare” la decisione finale (successivamente corretta dall’EDPB). Il Comitato europeo per la protezione dei dati ha chiesto al garante della privacy irlandese di avviare un’altra indagine sull’elaborazione dei dati da parte di Meta. La DPC ritiene che l’EDPB non abbia questo potere, pertanto chiederà l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione europea.