Monaco di Baviera – Eugene Kaspersky è un tipo alla mano. A guardarlo in mezzo a collaboratori e giornalisti mentre scherza e canta con un boccale in mano in una birreria dell’ Oktoberfest non diresti mai che è a capo di una azienda da 1000 dipendenti e quasi 90 milioni di euro di fatturato : solo nell’ultimo trimestre. Ride e scherza con tutti, per lui la vita è fatta così: per fare bene qualcosa bisogna divertirsi.
Quasi 2 giorni a contatto con Eugene Kaspersky possono dire molto della sua personalità e del suo modo di fare affari. La prima è sotto gli occhi di tutti: battuta pronta, sguardo aperto e tanta voglia di trovare una spalla per farsi quattro chiacchiere e quattro risate. Che l’argomento sia serio o faceto, il suo approccio resta quello di una persona innamorata della vita: si può discutere di argomenti seri come la sicurezza dei computer anche scherzandoci sopra, purché ci si ricordi che certi problemi non vanno sottovalutati.
Nel suo keynote davanti a giornalisti arrivati da mezza Europa tenta sempre di strappare un sorriso: ma si tratta anche e soprattutto di un mezzo per arrivare a catturare l’attenzione di chi ha di fronte , per ricordargli che se in giro ci sono sistemi operativi vulnerabili è tutto merito delle “pretese” di noi consumatori che vogliamo prodotti facili da usare (ed abusare). E che se, come sembra probabile, i computer finiranno per prendere possesso di ogni aspetto della nostra vita, dalla domotica alla telefonia, dalle automobili agli aeroplani, presto o tardi assisteremo alla nascita di malware specifici per ogni tipo di dispositivo.
Osservandolo interagire con i suoi collaboratori ci si accorge che l’intera filosofia aziendale è improntata a questa sua mancanza di formalità. Nei suoi dipendenti vede una risorsa , che occorre valorizzare e spronare per farla rendere al meglio: niente tirate d’orecchie, almeno non se ne sono viste in pubblico, quanto piuttosto l’invito a riprovare un’altra volta, sempre, con l’obiettivo di migliorarsi. Una buona dose di carisma personale aiuta nel compito, così come la capacità di mettere le persone con cui interagisce a proprio agio.
Non è cosa da poco. Per stemperare la tensione, per rompere il ghiaccio, Kaspersky ha sempre pronto un aneddoto : irrompe nella sala, appena arrivato dopo un ritardo considerevole del suo volo, e prima di salutare chiede immediatamente a chi può ordinare da bere. La riunione di dirigenti e giornalisti, fino a un attimo prima ingessata nella diffidenza di chi si conosce da cinque minuti, si scioglie in una risata, e lui ha conquistato la loro attenzione per il breve discorso di introduzione alla due giorni che ha organizzato.
Anche il programma delle quarantott’ore è molto diverso dal solito: c’è spazio per le interviste e per le conferenze stampa, ma anche molto tempo da passare insieme senza obblighi particolari o impegni istituzionali. C’è modo di fraternizzare , per fare amicizia oltre che conoscenza, e alla fine si torna a casa con la percezione di aver capito qualcosa di più che la semplice roadmap aziendale per i prossimi due anni.
Andreas Lamm , a capo della divisione europea dell’azienda, ci spiega che le cose non sono mai andate così bene per KasperskyLab: ai consumatori, secondo i dati che ci forniscono, l’antivirus russo non è mai piaciuto tanto. Ci sono rivoluzioni in corso nella classifica degli antimalware più installati nel Vecchio Continente, ed entro un paio d’anni la leadership del settore – almeno in Europa – sarebbe garantita. Eppure Eugene, quando si parla di sviluppo futuro ci va coi piedi di piombo: non gli va di fare il passo più lungo della gamba, preferisce concentrarsi su quello che i suoi sanno fare bene . In futuro si vedrà.
Forse, e lo si indovina della sua voglia di raccontarti cosa ha in ballo il suo reparto di ricerca e sviluppo, per Eugene Kaspersky l’importante è continuare a vivere con semplicità anche di fronte ad eventi importanti o gravi, come quando in Unione Sovietica (ce lo confessa davanti al bicchiere della staffa) tornando a casa sentiva le mitragliatrici della rivoluzione del 1991 . È stato allora, ci dice, che ha capito che quello che conta davvero è concentrarsi su se stessi : sul proprio lavoro e sulla propria crescita professionale, certo. Ma senza dimenticare che nella vita c’è molto di più.
a cura di Luca Annunziata