I transistor al silicio non si miniaturizzeranno all’infinito, e in qualche modo bisognerà pur far andare avanti l’ assunto della legge di Moore sul raddoppio di transistor e performance ogni 18 mesi. In attesa di ammirare all’opera le proprietà salvifiche di tecnologie innovative come il memristore e i chip al grafene , dunque, i ricercatori si concentrano sulla realizzazione di circuiti integrati composti da materiali differenti , capaci di dimostrare proprietà parecchio interessanti in quanto a efficienza e facilità produttiva.
Al Massachussets Institute of Technology hanno per esempio realizzato un chip ibrido plasmando assieme silicio e nitruro di gallio, raggiungendo l’obiettivo di aumentare le prestazioni senza accrescere contemporaneamente il numero di transistor impacchettati assieme sullo stesso circuito. Risultato ottenuto progettando le componenti in silicio per la maggior parte delle funzioni del processore e assegnando a quelle in nitruro di gallio i compiti che necessitano di performance superiori.
Con la soluzione ideata presso il MIT si risolverebbe il problema posto dalla discrepanza tra la superiore scalabilità del silicio da un lato, e le migliori capacità velocistiche proprie di materiali semiconduttori differenti dall’altro. L’integrazione di uno strato di nitruro di gallio in un substrato di silicio permetterebbe, dicono i ricercatori, di realizzare “una nuova classe di circuiti digitali in radiofrequenza a segnale misto ad alte prestazioni”.
Ma oltre al silicio anche il grafene viene testato in lungo e in largo nei laboratori di ricerca, nel duplice tentativo di cominciare a concretizzare le promesse del materiale e fornire circuiti integrati a maggiori prestazioni nell’ambito delle suddette applicazioni in radiofrequenza dove le onde elettromagnetiche sono troppo corte per gli standard produttivi di tipo CMOS.
Dagli States in questo caso si passa al Physikalisch-Technische Bundesanstalt di Braunschweig, Germania, dove i ricercatori hanno fatto passi avanti nel risolvere il problema dell’imaging del grafene usando un wafer di arseniuro di gallio (GaAs) e un microscopio ottico. Il “trucco” consiste nel frapporre un layer anti-riflettente di arseniuro di alluminio tra i due materiali (GaAs e grafene), un setup capace di generare sufficiente interferenza (simile a quella causata dai filtri ottici tradizionali) da poter distingue al microscopio strati singoli, doppi e multipli di grafene.
Un problema non da poco, quello dell’imaging del grafene, perché la possibilità di individuare al microscopio il materiale su un substrato aprirebbe le porte all’ingegnerizzazione della stratificazione del composto sui wafer.
Alfonso Maruccia