Microsoft è l’ultima, in ordine di tempo, ad aver firmato una sorta di assicurazione brevettuale offerta dalla startup RPX: la collaborazione dovrebbe servire a diminuire notevolmente numero e costi dei procedimenti intentati dai cosiddetti patent troll.
“È importante – ha dichiarato David Kaefer, general manager che si occupa di proprietà intellettuale a Redmond – che Microsoft compia tutti i passi possibili per minimizzare il rischio di conflitti brevettuali”. Nell’arco degli ultimi sei anni, d’altronde, Big M è stata portata in tribunale almeno 49 volte da società definibili come patent troll.
RPX è nata da 14 mesi, nell’arco dei quali ha acquistato brevetti (o licenze sui diritti) pari al venti per cento del mercato complessivo nel settore ICT e alcune fra le principali aziende del settore sono già diventate suoi clienti: si tratta del primo “defensive patent aggregator”, un contenitore di brevetti a scopo difensivo. Sorge cioè, per essere il peggior nemico dei patent troll ed il miglior alleato in una causa per infrazione brevettuale.
Un patent troll è la definizione spregiativa di una Non Practicing Entities (NPE), una società che acquista licenze e brevetti ma non li utilizza per offrire servizi o per la produzione di beni: distinguendosi sia dalle società che acquistano i brevetti (o licenze) attinenti ai propri prodotti, sia dalle università e dagli enti di ricerca che, pur non partecipando per la gran parte al processo produttivo, sono soggetti della ricerca e/o dello sviluppo del prodotto.
RPX, fondata dall’avvocato brevettuale John Amster nel settembre 2008, si comporta praticamente come un patent troll, acquisendo licenze e brevetti da altre NPE, da piccole società o da singoli ricercatori, ma invece di utilizzarli per entrare in causa con altre aziende (uso offensivo mirato ad ottenere risarcimenti o royalty), vuole raccoglierne il maggior numero possibile per dotarsi di un portafoglio brevettuale da poter utilizzare a difesa delle società che – a un modico prezzo compreso tra i 35mila e 4,9 milioni di dollari (a seconda delle dimensioni) – avranno stipulato un abbonamento annuale.
La strategia difensiva si basa sulla raccolta del maggior numero di brevetti attinenti i prodotti del cliente (in un modus operandi speculare a quello del patent troll) in modo tale da creare un portafoglio brevetti tale da scongiurare il maggior numero di cause possibili. Non assicura alcun successo, ma promette di abbattere progressivamente il numero dei (costosissimi) processi brevettuali. Promette, inoltre, di non usare i brevetti così acquistati contro le società che non abbiano ancora sottoscritto un abbonamento.
La storia di RPX inizia durante il caso per infrazione brevettuale che vedeva Acacia Research contrapposta a 20 imputati: nel bel mezzo del processo la neonata RPX acquisì i brevetti di Acacia e offrì un accordo molto conveniente agli accusati. Da allora sono diventati suoi clienti, tra gli altri, MacAfee, Symantec, Sharp, Cisco, IBM, la società di servizi Enea e, da ultimo, Microsoft: in tutto già 30 clienti e un investimento di oltre 130 milioni di dollari per 1.100 brevetti (o licenze), statunitensi o internazionali, solo nel settore mobile, Internet, eCommerce, elettronica e telecomunicazioni. Praticamente, a pochi mesi dalla sua nascita, è diventata protagonista già del 20 per cento delle transazioni brevettuali complessive.
L’obiettivo, tuttavia, è incrementare queste cifre per congestionare il traffico e combattere i patent troll sul loro stesso campo : Amster, d’altronde, ha dichiarato che “se tutti diventassero nostri clienti, avremmo abbastanza soldi per comprare la maggior parte dei brevetti che per il momento sono a disposizione delle NPE”.
Claudio Tamburrino