La battaglia che Microsoft sta conducendo contro le autorità statunitensi che vorrebbero mettere le mani su dati che risiedono oltreconfine è ancora lontana dall’essere conclusa: il caso, però, potrebbe rapidamente evolvere con un ricorso in appello da parte di Redmond.
Il caso si era aperto nei mesi scorsi: Microsoft, nel contesto di un’indagine statunitense riguardo a traffici di droga, era stata raggiunta da un mandato che la obbligava alla consegna di certi dati che risiedono su server localizzati in Irlanda. Nel pieno delle rivelazioni del Datagate, con la pervasività del tecnocontrollo statunitense ad alimentare le diffidenze degli utenti nei confronti dei colossi della tecnologia, Microsoft aveva abbracciato una posizione decisa: intendeva dimostrare che il mandato con cui le autorità USA avevano sollecitato la consegna dei dati non fosse valido al di fuori dei confini statunitensi.
Nonostante il supporto da parte di altri colossi della tecnologia e di soggetti che operano a favore dei diritti digitali come EFF , il giudice incaricato di dirimere il caso aveva confermato l’ordine di consegna dei dati emesso dal Dipartimento di Giustizia statunitense. Risoluta nel voler dimostrare la necessità di un equilibrio tra le ragioni delle forze dell’ordine e la tutela della privacy dei cittadini della Rete , Microsoft ha protato avanti la propria battaglia, promettendo di ricorrere in appello.
Nei giorni scorsi sono stati sciolti dei nodi procedurali che permetteranno a Redmond di perseguire i propri intenti, sbloccando la possibilità di ricorrere in appello: “Questo caso potrebbe avere importanti implicazioni al di fuori degli USA – spiega Microsoft – Altri governi potrebbero fare richiesta delle email stoccate in datacenter al di fuori della loro giurisdizione”. ( G.B. )