Tre cose sono inevitabili: la morte, le tasse e gli aggiornamenti di Windows. Nessuno sfugge a questo adagio, men che meno Microsoft stessa. In questi giorni, Redmond è impegnata a combattere su due fronti la battaglia fiscale: da un lato in Cina, dove sembra aver raggiunto un accordo con le autorità per chiudere un contenzioso che la vedeva coinvolta , dall’altro negli Stati Uniti dove ha lei stessa avviato una causa per vederci chiaro sulle indagini fiscali condotte nei suoi confronti.
A riferire dell’accordo con la Cina sono le fonti locali : secondo quanto riferiscono Redmond dovrebbe a Pechino circa 137 milioni di dollari per tasse arretrate ed interessi . La notizia – che parla in realtà solo di “una multinazionale straniera tra le più ricche al mondo e che inizia con la M” – non è stata confermata né smentita dai dirigenti Microsoft, che si sono limitati a ricordare che quanto finora pagato in Cina corrisponde a quanto dovuto in base all’accordo bilaterale firmato da Stati Uniti e Cina nel 2012 e a specificare che i 140 milioni sarebbero comunque il frutto di un accordo su quanto dovuto regolarmente.
Tuttavia a conferma delle indiscrezioni cinesi arrivano anche le voci secondo cui il Governo di Hong Kong avrebbe assistito Pechino nel portare avanti il caso nei confronti di Redmond, e i dettagli secondo i quali a mettere nei guai Microsoft sarebbero state le pratiche di gestione di introiti e fatturazione nel paese più conveniente: strategie fiscali altamente diffuse tra le multinazionali per ottenere una tassazione complessiva inferiore.
Nel frattempo, in patria, Microsoft sta cercando di giocare d’anticipo e ha trascinato in aula l’ Internal Revenue Service (IRS), l’agenzia che si occupa della riscossione fiscale: in violazione del Freedom of Information Act (FOIA) questa non avrebbe risposto alla richiesta di informazioni da parte di Microsoft. IRS ha messo sotto la sua lente la multinazionale del software, con particolare attenzione a quanto riguarda le politiche di prezzo di trasferimento (cioè quello pagato tra le varie diramazioni di una multinazionale per lo scambio di prodotti e servizi) adottate tra il 2004 ed il 2009. Secondo l’ipotesi che ha messo in moto l’indagine, queste pratiche sarebbero state sfruttate per evitare il pagameto delle tasse provvedendo a traslare profitti e spese nei paesi con il regime fiscale più favorevole. Di fatto le stesse conclusioni a cui sarebbe arrivata Pechino.
Per investigare su Microsoft, tuttavia, IRS avrebbe sottoscritto un contratto di consulenza con uno studio legale e proprio questo sarebbe l’oggetto delal denuncia di Redmond: vorrebbe conoscere i dettagli dei servizi offerti e dei poteri di indagine riconosciuto agli avvocati privati. Tuttavia, alla sua rischiesta di trasparenza depositata non più tardi dello scorso 24 settembre, l’agenzia pubblica non avrebbe ancora risposto: secondo i legali di Microsoft ciò costituirebbe una violazione del FOIA ( Fredoom of Information Act ).
Claudio Tamburrino