San Francisco (USA) – Il brevetto dell’ Università di Berkeley e gestito da Eolas su add-on e plug-in per i browser web potrebbe presto essere dichiarato invalido , per la gioia di sviluppatori, operatori e del World Wide Web Consortium. Oltreché di Microsoft , che a causa delle capacità del proprio browser è stata condannata in primo grado a versare ad Eolas 521 milioni di dollari.
La notizia giunta nelle scorse ore si riferisce alla sentenza d’appello del lungo processo voluto da Eolas, una sentenza che premia Microsoft su un punto fondamentale.
I giudici hanno infatti stabilito che in primo grado è stato fatto un errore non prendendo in considerazione come potenziale prior art l’ormai celeberrimo browser Viola sviluppato nel 1993 da Perry Pei-Yuan Wei , artista e ricercatore della Berkeley University. Microsoft ha sempre sostenuto che il brevetto dell’Università rappresenta una “predazione” ai danni del browser sviluppato dall’allora studente Pei-Yuan: l’Università ha peraltro presentato il proprio brevetto sulle tecnologie aggiuntive per i browser un anno dopo la prima realizzazione di Viola.
Questo elemento è fondamentale perché, come noto, l’esistenza di una riconosciuta applicazione esistente e precedente alla richiesta di brevetto, la “prior art” appunto, può invalidare il brevetto stesso.
“Si tratta di una grossa vittoria – ha dichiarato uno degli avvocati di Microsoft – Il cuore della nostra difesa si basava sul fatto che il brevetto non è valido, proprio per il lavoro svolto da Pei Wei, e la Corte d’Appello ha sottoscritto le nostre asserzioni. Ora contiamo di stabilire una volta per tutte la non validità di questo brevetto quando il caso tornerà in giudizio”. Tutta la vicenda ora dovrà infatti essere riesaminata dal tribunale distrettuale sulla base dei rilievi in appello.
Ma non tutto è andato al meglio per Microsoft e per le tecnologie della rete. Secondo la Corte d’Appello, infatti, il brevetto si applica non solo ai browser ma anche alle tecnologie plug-in e add-on che possono funzionare indipendentemente l’una dall’altra, una tesi contestata da Microsoft in primo grado. Non solo, la Corte ha anche stabilito che rientrano nel brevetto anche tutte le copie di Internet Explorer diffuse all’estero, vale a dire quasi i due terzi del totale, in quanto generate da un disco master americano…
In tribunale, hanno osservato alcuni esperti, Microsoft non avrà più molte opzioni. Potrà puntare soltanto sull’invalidità del brevetto sperando che questa sia riconosciuta.
Sembrano pensare che le cose andranno bene anche quelli del W3C , il Web Consortium di Tim Berners-Lee che, come si ricorderà, si era schierato dalla parte di Microsoft sostenendo l’assurdità di questi brevetti. “Si tratta – ha dichiarato uno dei massimi dirigenti del Consortium, Daniel Weitzner, riferendosi alla sentenza – di buone notizie. E’ un passo verso la certezza che questo brevetto non minaccia l’interoperabilità del Web. Non chiude la questione né per Microsoft né per l’Università, e non ha un impatto particolare sul riesame del brevetto. Ma diminuisce i rischi a carico del Web”.
Di sicuro interesse in ogni caso i commenti dello stesso Pei Wei sull’intero caso, disponibili qui .