Dodici stati americani non cedono nella crociata antitrust contro Microsoft. Checché ne dica Ballmer , l’assetto del mercato non è cambiato rispetto a cinque anni fa, il mercato delle web app è ancora bloccato dal colosso di Redmond, che detiene una posizione dominante nell’ambito di sistemi operativi e browser. Prodotti che, chiosano i procuratori dei dodici stati, costituiscono un presupposto perché gli utenti possano accedere alle applicazioni web. Per questo motivo, spiegano, le misure asimmetriche previste nel Final Judgment del 2002 e dimezzate in seguito alla buona condotta del colosso di Redmond dovrebbero essere estese fino al 2012.
La zavorra avrebbe dovuto pesare su Microsoft fino a novembre 2007. Vista la complessità del caso , vista l’ irruenza con cui i procuratori generali di una cospicua manciata di stati USA stanno insistendo per prolungare i remedies , Colleen Kollar-Kotelly, il giudice che presiede il procedimento, ad ottobre si era riservata ulteriore tempo per valutare la situazione. Nel frattempo sono piovuti sul tribunale distrettuale della Columbia i pareri di tutte le parti in causa.
Microsoft era stata la prima ad esprimersi. Ballmer si sperticava in elogi nei confronti dei suoi concorrenti, acerrimi e valorosi nemici in un mercato sempre più dinamico. BigM aveva speso encomi per segnalare al giudice “il rapido sviluppo” della scena open source, di player quali Google, Yahoo!, MySpace, eBay e Apple che si stanno guadagnando spazi sempre più significativi in rete. Anche lo stesso Dipartimento di Giustizia americano si era mosso all’inizio di novembre per difendere una volta di più la posizione di Microsoft, chiedendo alla corte di estinguere al più presto i remedies che pesano sul gigante del software: le argomentazioni dei procuratori apparivano inconsistenti e un prolungamento delle misure sarebbe stato immotivato.
Ai pareri di Microsoft e del Department of Justice hanno ribattuto i procuratori, in un documento depositato pochi giorni fa, il 16 novembre: i player della rete citati da Microsoft come rivali necessitano di tempo e protezione per guadagnare una posizione che consenta loro di giocare una partita ad armi pari. “Se i prodotti di queste aziende offrono qualche vantaggio – spiegano nel documento – gli utenti dipendono ancora dai sistemi operativi per PC e dai browser, i due settori nei quali Microsoft domina. È così che le barriere d’ingresso al mercato restano ancora insormontabili”. Fino a quando l’azienda di Redmond resterà gatekeeper per accedere al web – sembrano dire – qualsiasi altra considerazione è irrilevante.
“Il concetto di piattaforma Internet non esiste ancora” ha sottolineato sulle pagine di ComputerWorld Ronald Alepin, consulente tecnico dei procuratori anti-Microsoft. Il web non può ancora funzionare come un sistema operativo su cui giri il software as a service proposto dai competitor di Microsoft, quindi il dominio di BigM appare inattaccabile.
E se le applicazioni web non costituiscono per Microsoft una minaccia, nemmeno i concorrenti diretti come Firefox possono alcunché: “Con quote di mercato inferiori al 20% – ha proseguito Alepin – Firefox non è abbastanza influente per proporre alternative agli standard o alle estensioni forniti agli utenti da Microsoft”. Lo stesso vale sul fronte dei sistemi operativi con Apple, chiosa il tecnico, la cui base di utenza è restata stabile intorno al 3%. Se l’artiglio del tribunale su Microsoft dovesse allentarsi, spiegano in sostanza procuratori e consulenti, l’azienda continuerebbe a tenere in pugno il mercato, frenando gli slanci innovativi delle imprese che non hanno ancora la possibilità di posizionarsi come competitor.
L’epopea antitrust di Microsoft è ormai una pubblica piazza che garantisce visibilità: per ribattere alle argomentazioni di tecnici e procuratori si è scomodata addirittura VISA. Nessuna ragione per estendere i remedies per Microsoft, hanno suggerito i legali del colosso finanziario, anch’esso investito in passato da sanzioni dovute a comportamenti lesivi della concorrenza. Le motivazioni? Nulla a che vedere con quote di mercato di browser e sistemi operativi, o con barriere d’ingresso a realtà innovative: i processi costano, spiega VISA, e trascinarseli per anni prosciuga le casse delle aziende.
Gaia Bottà