Come ben sappiamo, il mining delle criptovalute è un’attività che assorbe un enorme quantitativo di elettricità. Un problema concreto, tanto che l’Iran ha deciso di imporne lo stop. Altrove, in Uzbekistan, il governo centrale ha invece scelto di percorrere una strada differente: consentirla solo se si fa uso di energia pulita.
Uzbekistan: una legge ad hoc su mining ed energia
Una nuova legge, firmata il 24 giugno nella capitale Tashkent (su stimolo della National Agency of Prospective Projects), conferma l’introduzione delle “Linee guida sulla registrazione per il mining degli asset”. In breve, le componenti hardware delegate all’estrazione di Bitcoin e altre crypto possono essere alimentate esclusivamente con elettricità proveniente dal fotovoltaico. Questa la traduzione di un passaggio del testo.
Il mining può essere effettuato solo dalle entità legali con l’impiego di energia elettrica fornita da un impianto solare fotovoltaico.
Fin qui, l’iniziativa potrebbe essere interpretata come il nobile tentativo di rendere la pratica più sostenibile dal punto di vista ambientale. La norma, però, include alcuni paletti che potrebbero renderne estremamente difficoltosa l’applicazione.
Il primo riguarda l’obbligo di possedere l’impianto da cui si ricava l’energia utilizzata. Il secondo, la necessità di ottenere un’apposita certificazione e di comparire in un registro nazionale delle realtà autorizzate: il processo di accreditamento richiede l’invio di alcuni documenti, comporta un’attesa non superiore ai 20 giorni e il via libera rilasciato ha validità pari a un anno.
La stessa legge prevede infine che le criptovalute così ricavate non siano sottoposte ad alcun regime di tassazione. Ancora, l’Uzbekistan ha intenzione di vietare severamente il mining in forma anonima e le operazioni svolte con gli asset ricavati possono transitare esclusivamente su piattaforme registrate nel paese. Tra gli exchange a disposizione degli utenti locali c’è anche Coinbase.
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