È la sentenza 8825 recentemente depositata dalla sezione tributaria civile della Corte di Cassazione. L’effettivo presupposto della contestata tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile non è rappresentato da un provvedimento amministrativo – che sia la licenza o un suo documento sostitutivo – bensì dalle concrete prestazioni periodiche del servizio telefonico .
È allora sul servizio che deve basarsi l’obbligazione tributaria alle scadenze del pagamento dei vari corrispettivi. La sentenza della Corte di Cassazione ha così dato una repentina svolta all’acceso dibattito sulla tassa di concessione sugli abbonamenti della telefonia mobile.
Più che dibattito, una vera e propria azione legale avviata dalle varie associazioni a tutela dei consumatori per chiedere il rimborso dell’obolo sugli abbonamenti. Alla fine dello scorso gennaio, l’Agenzia delle Entrate aveva ribadito la necessità di pagare un tributo “che non è stato intaccato dall’entrata in vigore del Codice delle comunicazioni”.
Il nuovo Codice delle comunicazioni – decreto legislativo 259/03 – ha infatti affermato “la libertà e la libera disponibilità delle forniture di servizi di comunicazione”. I contratti d’abbonamento stipulati dagli utenti riacquistavano la loro ordinaria natura corrispettiva. In assenza di una licenza, era così venuto a mancare il presupposto per l’applicazione della tassa .
La stessa Agenzia delle Entrate era poi uscita allo scoperto con la risoluzione 9/2012 : l’effettivo presupposto per la tassazione viene così rappresentato dall’abbonamento, che prende il posto – in base all’articolo 160 del decreto legislativo 259/2003 – della licenza o di un suo documento sostitutivo .
La sentenza 8825 della Corte di Cassazione ha ora confermato che il presupposto impositivo viene ricollegato “non già alla emissione di un atto amministrativo, ma al mero presupposto di fatto (di natura cronologica) della durata della prestazione di servizi così come conteggiata in ciascuna bolletta dal gestore all’abbonato”.
Mauro Vecchio