Se i sistemi DRM impediscono al videogiocatore di approfittare di opportunità perfettamente legali, come l’intrattenimento homebrew, sono da considerare degli strumenti di protezione in linea con la legge? Dai modchip ai sistemi DRM che i modchip permettono di aggirare: l’attenzione della Corte di Giustizia Europea, il cui parere è stato sollecitato per fare chiarezza sullo scontro italiano fra Nintendo e PCBox, si sposta sulle misure tecnologiche di protezione erette dai colossi del mercato videoludico. Che potrebbero andare oltre gli scopi per cui sono installate sulle console.
Il caso, che si trascina da anni, vede contrapposte Nintendo e l’azienda fiorentina PCBox (ora Recoverybios). Nintendo, che si tutela dalla pirateria producendo console dotate di un sistema DRM che obbliga allo scambio di comunicazioni cifrate tra macchina e videogioco, accusa PCBox di violazione della legge sul diritto d’autore poiché fornisce dispositivi di elusione delle misure tecnologiche anticontraffazione. PCBox, che forniva modchip per Wii e Nintendo DS, sottolinea come i propri sistemi di modifica per le console permettessero di aggirare i DRM di Nintendo per affrancare le console, consentendo agli utenti di trarne ben di più che i soli usi previsti dal produttore: giocare con titoli homebrew, estranei dunque al sistema di licenze gestito dalla casa giapponese, fruire di contenuti multimediali come musica e video. Nintendo cercava di sostenere che i prodotti di PCBox fossero solo un viatico per la pirateria, PCBox cercava di sostenere che Nintendo si arrogasse il diritto di depotenziare le console impedendo agli utenti di approfittare legalmente di tutte le possibilità offerte dalle macchine.
La giustizia italiana, nel 2009, decideva per un provvedimento cautelare nei confronti di PCBox, confermato in seguito dal Tribunale di Milano. Il confronto non si è mai sopito, e dal solo giudizio riguardo ai modchip, si è giunti a considerare la possibilità che i sistemi DRM di Nintendo tracimassero davvero dalla funzione che la legge sul diritto d’autore ammette e incoraggia.
Dopo che il Tribunale di Milano aveva sollecitato il parere delle autorità europee, nei mesi scorsi si era espresso l’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione Europea Eleanor Sharpston: raccomandava proporzionalità . Sia nel valutare le motivazioni per cui i modchip eludono le protezioni tecniche di giochi e console, e dunque gli usi che i gamer fanno delle console modificate, sia nel considerare i sistemi DRM , che potrebbero essere eccessivamente restrittivi, impedendo di fatto l’ interoperabilità con software non sfornati dalla casa produttrice.
Dello stesso tenore appare il parere della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Così come l’avvocato generale, la Corte sostiene che il caso si riconduca non alle leggi che tutelano i programmi per elaboratore, come avrebbe voluto PCBox per dimostrare che la propria opera di decompilazione fosse votata alla causa dell’interoperabilità, ma piuttosto alla direttiva 2001/29/CE (articolo 102 quater della legge italiana sul diritto d’autore) che offre protezione ad opere complesse come le opere multimediali e che prevede che il produttore possa “apporre sulle opere o sui materiali protetti misure tecnologiche di protezione efficaci che comprendono tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono destinati a impedire o limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti”. Atti da contrastare, atti che però devono essere confinati entro “la riproduzione delle opere, la loro comunicazione al pubblico e la loro messa a disposizione del pubblico, nonché la distribuzione dell’originale o di copie delle opere”.
La Corte di Giustizia riconosce, sulla stessa linea dell’avvocato generale, che la protezione giuridica offerta ai sistemi DRM può essere accordata solo qualora tali sistemi non eccedano gli scopi previsti dalla legge. Se i sistemi antipirateria di Nintendo, accidentalmente o meno, finiscono per impedire altre attività, oltre all’intrattenimento con materiale pirata , saranno da considerarsi “efficaci misure tecnologiche” la cui elusione è punita per legge? “Il produttore della consolle è protetto contro tale elusione solo qualora le misure di protezione siano dirette ad impedire l’utilizzazione di videogiochi contraffatti” sintetizza con efficacia il comunicato stampa della Corte di Giustizia.
Il compito più complesso spetta ora al Tribunale di Milano: solo un’analisi approfondita del contesto in cui agiscono i sistemi DRM di Nintendo e i modchip di PCBox potrà determinare la legalità degli uni e degli altri. C’è da comprendere, raccomanda la Corte di Giustizia, se sia possibile mettere a punto misure tecniche di protezione dei contenuti più mirate , che “avrebbero potuto causare minori interferenze con le attività dei terzi che non hanno bisogno dell’autorizzazione del titolare dei diritti d’autore o minori limitazioni di tali attività, pur fornendo una protezione analoga per i diritti del suddetto titolare”, e quali costi possono comportare per il produttore. C’è da comprendere l’uso che gli utenti effettivamente fanno delle console modificate , se vengano utilizzate principalmente per far girare copie pirata, e con che frequenza gli utenti le scelgano per “fini che non violano il diritto d’autore sui giochi Nintendo o con licenza Nintendo”. L’ultima parola sarà dunque quella del Tribunale di Milano: se in paesi come Spagna e Francia si è riconosciuto il valore dei modchip in funzione dello sviluppo di un mercato legale e alternativo a quello della mamma di Super Mario, l’Italia tende ancora a proteggere sistemi DRM grossolani , che non consentono all’utente di godere del diritto di fruire appieno della console, depotenziata nel nome della lotta alla contraffazione.
Gaia Bottà