I modchip garantiscono la possibilità di far girare giochi copiati, o che in ogni caso violano il diritto d’autore, ma anche di intrattenersi con giochi homebrew, prodotti da sviluppatori slegati dal sistema di licenze commerciali eretto dal produttore della console. Hanno entrambe le funzioni, e il quadro normativo ha ragioni per ritenerli illegali e legali al tempo stesso, e proprio dalla loro funzione dipende il giudizio nei confronti dei sistemi DRM scelti dai signori dell’industria videoludica. A tentare di dirimere la questione è il parere dell’avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione Europea Eleanor Sharpston, che ha preso in esame il caso che vede contrapposte Nintendo e l’azienda fiorentina PCBox.
Da una parte, Nintendo, che produce console dotate di un sistema DRM che obbliga allo scambio di comunicazioni cifrate tra console e videogioco per assicurare che i gamer si intrattengano solo con le copie autorizzate dei titoli . Dall’altra, PCBox (ora Recoverybios), che fornisce modchip per Wii e Nintendo DS, che consentono di aggirare il sistema di protezione di Nintendo e permettono sia di giocare con videogame copiati (dunque illegali, ad esclusione delle copie private), sia di far girare sulle console dei titoli homebrew, sviluppati indipendentemente da Nintendo senza violare alcun tipo di proprietà intellettuale, aprendo anzi la console a potenzialità non previste dal suo produttore e di fatto liberando il mercato dalle barriere d’accesso imposte da Nintendo con il sistema delle licenze previste per il proprio ecosistema. C’era stato un provvedimento cautelare nei confronti di PCBox, confermato dal Tribunale di Milano, ma il confronto è lungi dall’essere concluso. Il parere sollecitato alla Corte di Giustizia dal Tribunale di Milano deve ancora attendere, ma l’avvocato generale Sharpston ha ora fornito alcuni spunti di riflessione, inquadrando lo scontro nel contesto del quadro normativo europeo, delineando con maggiore chiarezza quali sono i nodi che l’autorità giudiziaria italiana dovrà sciogliere.
L’avvocato generale consiglia innanzitutto di seguire l’interpretazione già offerta dal Tribunale di Milano e di ricondurre il caso alla direttiva 2001/29/CE (e quindi all’articolo 102 quater della legge sul diritto d’autore) che offre protezione alle opere multimediali , e non al più specifico contesto della direttiva 2009/24/CE , che tutela i programmi per elaboratore e offre alle opere una protezione “leggermente meno ampia”, come avrebbe voluto invece PCBox, convinta che la propria opera di decompilazione fosse “limitata alle parti del programma strettamente necessarie al fine di garantire l’interoperabilità” e non all’intero prodotto multimediale, composto di diversi contenuti protetti da diritto d’autore e diritti connessi.
Nintendo, Sharpston risponde così al primo dubbio del Tribunale italiano, può prevedere un sistema di protezione che si dispieghi sia sui supporti, sia sulle console: “Escludere misure che sono, in parte, incorporate in dispositivi diversi da quelli che contengono lo stesso materiale protetto dal diritto d’autore – rileva l’Avvocato Generale – significherebbe negare ad un’ampia gamma di misure tecnologiche la protezione che la direttiva mira a garantire”.
Questione più intricata è stabilire la liceità della misure adottate da Nintendo che, oltre ad impedire ai gamer di approfittare di copie non autorizzate dei giochi, finisce per limitare l’uso delle console ad operare con i soli giochi dell’ecosistema Nintendo, e di impedire che i titoli siano giocati su altre console, ponendo così dei limiti all’interoperabilità e alle libertà dei consumatori .
I sistemi di protezione scelti da Nintendo, osserva l’Avvocato Generale, si dimostrano efficaci nel limitare la riproduzione e la messa a disposizione del contenuto con licenza del colosso videoludico. Nessun problema, se questi fossero gli unici effetti prodotti dai DRM della mamma di Super Mario: sarebbero protetti dall’articolo 102 quater della legge sul diritto d’autore, e PCBox si troverebbe indiscutibilmente in torto.
C’è però la questione cardine del confronto, quella su cui l’azienda fiorentina fa leva. I sistemi DRM di Nintendo “impediscono o limitano anche atti per i quali non è necessaria l’autorizzazione del titolare del diritto ai sensi della direttiva 2001/29 – come l’uso di consolle Nintendo per giocare giochi diversi da quelli della Nintendo, o con licenza della Nintendo, o di copie di questi ultimi, o l’uso di giochi della Nintendo, o con licenza della Nintendo, su consolle diverse da quelle fabbricate dalla Nintendo”. Nintendo ha sempre sostenuto che ciò non sia che un effetto collaterale , in quanto queste limitazioni non sarebbero che occasionali o incidentali rispetto allo scopo primario e garantito dalla legge della protezione dei propri giochi.
PCBox, dal canto suo, chiama in causa i considerando della direttiva 2001/29, che ricordano come la protezione giuridica accordata alla misure tecnologiche per la tutela del diritto d’autore “dovrebbe rispettare il principio della proporzionalità e non dovrebbe vietare i dispositivi o le attività che hanno una finalità commerciale significativa o un’utilizzazione diversa dall’elusione della protezione tecnica” e che incoraggiano “la compatibilità e l’interoperabilità dei diversi sistemi”. L’Avvocato Generale raccomanda al Tribunale di Milano di soppesare la proporzionalità dei sistemai DRM di Nintendo : c’è da chiedersi se sia inevitabile che non si limitino ad impedire non solo la riproduzione e distribuzione di videogiochi copiati ma vincolino di fatto il mercato, se esistano dei sistemi DRM meno invadenti e se Nintendo abbia la possibilità di adottarli. “Occorre chiedersi – spiega l’Avvocato Generale – se la Nintendo avrebbe potuto proteggere i suoi giochi, o quelli prodotti su sua licenza, senza impedire o limitare l’uso delle sue consolle per giochi homebrew “.
Molto, nella valutazione dell’autorità giudiziaria italiana, deve dipendere anche dalla natura dei modchip di PCBox : servono principalmente ad eludere le misure di protezione di Nintendo per consentire agli utenti di videogiocare con copie contraffatte , oppure costituiscono un importante strumento per garantire interoperabilità e un grimaldello antitrust per aprire il mercato all’innovazione proposta da sviluppatori indipendenti? Nel secondo caso “esistono forti indicazioni per affermare che le misure tecnologiche della Nintendo non sono proporzionate”. Ma starà al Tribunale di Milano condurre una “valutazione quantitativa delle finalità ultime per le quali le misure tecnologiche vengono eluse mediante i dispositivi”.
L’avvocato generale ha parlato, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea dovrà esprimere il proprio parere. Ma le decisioni fondamentali spetteranno al Tribunale di Milano, supportato da una giurisprudenza italiana che, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei, sembra pendere a favore del mercato tradizionale dell’intrattenimento videludico.
Gaia Bottà