L’ex vertice della Formula Uno Max Mosley ha avviato una nuova causa nei confronti di Google, sempre per i link a nove immagini che ritraggono l’uomo in situazioni sadomasochistiche con cinque donne in divisa nazista, immagini che l’algoritmo del motore di ricerca continuerebbe a restituire per le ricerche corrispondenti al suo nome.
Già il Tribunal de Grande Instance di Parigi e la Corte di Amburgo avevano riconosciuto con due sentenze diverse il cosiddetto diritto all’oblio a favore di Mosley, costringendo rispettivamente la divisione francese e tedesca di Google a rimuovere i link alle compromettenti immagini: proprio tali sentenze hanno aperto la strada all’ imposizione a livello europeo dell’ obbligo da parte dei motori di ricerca di ricevere le richieste di rimozione dei link ritenuti dai soggetti interessati lesivi della loro privacy in quanto non di interesse pubblico o ormai datati . Entrambe le corti europee, d’altra parte, avevano costretto Google al pagamento delle spese legali e ad un euro solo – simbolico – di danni. Solo una sentenza del 2008 aveva fatto aggiudicare a Max Mosley 60mila sterline di danni (contro le 500mila che ha già speso per cercare di ottenere la sparizione delle immagini attraverso le procedure legali di 23 diversi paesi): in quel caso, come adesso, l’ex boss della Formula Uno si era rivolto ad una corte britannica.
Il risultato, anche se al momento una veloce ricerca del nome “Max Mosley” non sembra portare alle immagini incriminate, ma solo alle notizie relative alle azioni legali dell’ex boss della F1, o al massimo ad alcune prime pagine che mostrano di quelle fotografie alcuni particolari, è dunque solo che di Mosley si torni e continui a parlare in funzione di quelle foto , e dei suoi vizi privati: in forza di quel fenomeno mediatico che tecnicamente si chiama effetto Streisand (dal nome della nota attrice che nel 2003 intentò un’azione legale per veder rimossa un’immagine raffigurante la propria villa a Malibu in nome del diritto alla privacy, e che finì per far schizzare in alzo le visualizzazioni della stessa) e secondo il quale ogni tentativo di censurare o rimuovere un’informazione ne provoca, contrariamente alle attese, l’ampia popolarità .
Nonostante questa lezione, nella stessa direzione sembra andare anche l’ex banchiere di Morgan Stanley Daniel Hegglin: anch’esso – nonostante si sia già rivolto alla procedura prevista da Mountain View per rimuovere determinati link dal suo motore di ricerca in nome del diritto all’oblio – si è rivolto al Tribunale di Londra per veder rimossi tempestivamente i contenuti ritenuti in violazione della sua privacy, ed in particolare alcuni commenti che ritiene ingiuriosi.
Claudio Tamburrino