Potrebbe non essers sufficiente che i motori di ricerca agiscano sui domini europei, corrispondenti ai paesi da cui provengono le richieste con cui i cittadini possono farsi dimenticare dalla Rete: le autorità del Vecchio Continente vorrebbero che la soppressione di certi link dai risultati di ricerca fosse più efficace, e applicata anche ai domini .com dei search engine.
Ad invocare questa estensione rispetto alle pratiche adottate dai motore di ricerca all’indomani della decisione con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha investito i motori di ricerca del ruolo di arbitri dell’oblio, chiamati a soppesare gli interessi della libera circolazione dell’informazione e della riservatezza, è il gruppo di lavoro Article 29, in cui convergono i garanti della privacy europei: le linee guida adottate ora dopo mesi di confronti e di studio danno forma all’interpretazione ufficiale delle autorità rispetto all’applicazione della disciplina del diritto all’oblio.
Dei 13 punti delineati dal gruppo di lavoro Articolo 29, che saranno resi pubblici nella loro interezza entro la fine della settimana, quello che potrebbe creare più attrito con le intenzioni dei search engine è rappresentato dalla scala delle rimozioni: “limitare la soppressione dei link ai domini europei sulla base dell’assunto che gli utenti accedano ai motori di ricerca attraverso i domini nazionali – spiega Article 29 nel comunicato appena emesso – non può essere considerato uno strumento sufficiente per garantire in maniera soddisfacente i diritti di coloro a cui si riferiscono i dati”. La de-indicizzazione, secondo i garanti europei, deve dunque agire anche “su tutti i domini .com rilevanti”. Google, che in qualità di motore di ricerca dominante sul mercato europeo si è più fittamente confrontato con le autorità e con i cittadini della Rete, ha nei mesi scorsi chiarito la propria posizione in merito, sottolineando di ritenere che la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea rappresenti una interpretazione delle leggi europee, che si applicano ai servizi esplicitamente offerti ai cittadini europei , e non a quel “meno del 5 per cento” di utenti, “probabilmente viaggiatori” che dall’Europa accedono a Google.com . Se i motori di ricerca hanno dunque finora agito solo sui domini locali corrispondenti al paese in cui è stata formulata una richiesta ritenuta degna di accoglimento, le autorità europee raccomandano ora di prendere provvedimenti che “non siano facilmente aggirabili da chiunque”, da chiunque abbia un minimo di consapevolezza rispetto alla modalità di applicazione del diritto all’oblio, nonché una grande curiosità rispetto al passato scomodo di concittadini qualunque .
Per assicurarsi che l’applicazione del diritto all’oblio non si trasformi in uno strumento capace di riscrivere il passato, le linee guida di Article 29 prescrivono che il link che veicola “l’informazione rimanga accessibile utilizzando chiavi di ricerca diverse” dal nome del soggetto che ne ha richiesto la rimozione, e naturalmente attraverso “l’accesso diretto alla fonte”. Per quanto attiene il rispetto della trasparenza, però, secondo quanto emerso dalla conferenza stampa , il gruppo di lavoro Article 29 non ritiene che i motori di ricerca siano in ogni occasione tenuti a segnalare la rimozione ai responsabili dei siti il cui link in entrata venga de-indicizzato: Google agisce su base volontaria nel momento in cui informa cittadini e vittime delle rimozioni .
Ad ogni modo, le raccomandazioni del Gruppo di Lavoro Articolo 29 non hanno valore vincolante per i motori di ricerca che devono concretamente agire sui propri risultati: sono destinate alle autorità nazionali, che le dovranno adottare come uno “strumento di lavoro” da impugnare in maniera flessibile e tenendo conto del preminente “interesse pubblico all’accesso dell’informazione”, nel momento in cui si trovino a dover sbrogliare dei contenziosi sollevati da cittadini insoddisfatti dell’operato dei search engine.
Gaia Bottà