Dopo gli ultimi 4 anni passati a offrire storage illimitato, Mozy cambia passo e riduce enormemente l’offerta di Gigabyte disponibili per i backup dei suoi clienti. Il “sogno” della sussidiaria del colosso EMC si infrange sulle mutate abitudini di archiviazione degli utenti, sempre più affamati di uno spazio digitale che non basta mai .
Il cambiamento nelle policy di Mozy può essere efficacemente sintetizzato con l’espressione “paga di più, ottieni di meno”: laddove in precedenza una sottoscrizione mensile da 4,99 dollari prometteva la possibilità di archiviare online una quantità illimitata di dati in formato digitale, ora con 5,99 dollari si ha diritto a 50 Gigabyte, con una opzione “multi-macchina” per il backup di tre computer e 125 GB di spazio a 9,99 dollari mensili.
Nel tentativo di giustificare la nuova policy, Mozy chiama espressamente in causa il cambiamento nelle “abitudini dei consumatori” e l’esplosione delle necessità di storage – remoto o locale che sia – al pari con la diffusione degli apparati fotografici ad alte risoluzioni, l’alta definizione per l’home video e l’apertura di numerosi store telematici specializzati nel digital delivery di ogni genere di contenuti.
Con l’abolizione dello storage illimitato Mozy prova inoltre a incrementare i margini di monetizzazione dei 70 Petabyte e oltre che gli utenti hanno già archiviato sui suoi server. Nel cambio di passo ci perde parecchio il cloud computing , o per meglio dire una delle caratteristiche che a sentire i suoi sostenitori rappresenterebbe un “vantaggio” del computing tra le nuvole rispetto a quello tradizionale.
Lo storage illimitato è infatti da sempre uno dei cavalli di battaglia di Google e gli altri giganti telematici, convinti della consistenza delle tesi che sorreggono il cosiddetto Web 3.0 : l’ammissione di fallimento di Mozy , una società specializzata nello storage online, è un colpo durissimo a quanti evangelizzano le folle su un futuro salvifico fatto di enormi server farm interconnesse a cui accedere attraverso terminali “stupidi”, gestiti da sistemi operativi talmente minimali da non essere molto più di un browser web e un kernel Linux ridotto all’osso.
Che il cloud computing non sia esattamente rose e fiori, e che anzi tutto sia fuorché una soluzione esente da problemi e potenziali disastri, viene d’altronde confermato da un altro incidente di alto profilo recentemente capitato tra le nuvole dei provider telematici. Se Mozy decreta la morte per stress dello storage illimitato, la presunta superiore affidabilità delle nuvole rispetto agli hard disk locali – un’altra “argomentazione” sbandierata ai quattro venti – è già bella che defunta grazie a Flickr e al suo “piccolo” incidente della cancellazione accidentale di 4.000 mila foto di un account attivo da 5 anni.
Alfonso Maruccia