Hanno ufficialmente richiesto il cosiddetto summary judgement , la procedura abbreviata per ottenere subito il blocco a mezzo DNS della piattaforma di file hosting Hotfile . I legali della Motion Picture Association of America (MPAA) sono così tornati all’attacco del cyberlocker con base a Panama, uno dei soggetti più invisi alle major di Hollywood.
Le attività di Hotfile sarebbero del tutto simili a quelle dell’ormai defunto Megaupload ovvero, secondo i detentori dei diritti, non degne della protezione garantita agli intermediari dal porto sicuro del Digital Millennium Copyright Act (DMCA). La piattaforma panamense avrebbe in sostanza pagato numerosi uploader per il caricamento di materiale illecito.
Come Grokster, Limewire e Isohunt, Hotfile esisterebbe solo ed esclusivamente per violare su larga scala il diritto d’autore: secondo gli avvocati di MPAA, il sito di file hosting sarebbe stato realizzato per fare concorrenza a Megaupload. Basandosi cioè su un modello di business del tutto simile.
E i legali dell’industria cinematografica hanno portato in aula uno studio commissionato all’Università della Pennsylvania: più del 90 per cento dei download effettuati sul sito sarebbe relativo ad opere illecite . Una percentuale talmente esagerata da non poter minimamente pensare che la piattaforma venga usata per scopi di libera – e lecita – condivisione.
I giudici statunitensi dovrebbero inoltre respingere la tesi sbandierata dalla difesa, in particolare quella relativa ad un motore di ricerca interno che non permetterebbe il ritrovamento di file illegali. Ci penserebbero motori più usati come quello di Google a fornire i link al materiale su Hotfile .
Nel frattempo, i legali di Electronic Frontier Foundation (EFF) si sono uniti a quelli del sito di file hosting per attaccare la major associata Warner Bros. Già accusata di aver abusato delle tecnologie di rimozione offerte da Hotfile ai legittimi detentori dei diritti. Warner avrebbe in sostanza ordinato l’eliminazione di contenuti non di sua proprietà .
E la major aveva addossato tutta la colpa sul software per la ricerca dei contenuti da rimuovere. EFF ha sottolineato come una simile scusa possa trasformarsi in una pericolosa arma per la censura sul web . Si attende ora il doppio esito di uno dei più aspri scontri tra armadietti digitali e signori del copyright.
Mauro Vecchio