Non esistono più le associazioni di categoria di una volta. MPAA , la potente organizzazione che cura gli interessi delle major hollywoodiane e persegue gli utenti del P2P che scaricano DivX a sbafo , ha fatto liberamente uso di un software free utilizzandone il codice con gran disinvoltura. Ed eliminando accuratamente ogni traccia del copyright dell’autore.
Il software è Forest Blog , tool per blogger che usano il linguaggio ASP scritto da Patrick Robin . Il programma è di tipo linkware , liberamente scaricabile e utilizzabile previa conservazione di tutti i link e le notazioni di copyright contenute nel codice. Notazioni che è possibile rimuovere acquistando la relativa licenza .
E invece, come lo stesso Robin ha rivelato sul suo weblog pochi giorni or sono, nell’ottobre scorso MPAA ha usato Forest Blog eliminando accuratamente i backlink al sito del programma, contravvenendo quindi alle condizioni di licenza con cui è distribuito. Né più né meno come il più aduso pirata telematico utente delle reti di scambio file, l’organizzazione ha preso il codice che voleva e ci ha fatto quello che voleva incurante dei diritti dell’autore .
Patrick Robin sostiene di essere sicuro che si sia trattato dell’iniziativa di un singolo impiegato di MPAA troppo pigro, alla ricerca di una soluzione facile e veloce. Pur tuttavia, nota Boing Boing , MPAA stessa pretende, nella sua crociata legale contro i download illegali, che le società siano chiamate in causa come responsabili del comportamento dei propri dipendenti. Ci sarebbero insomma tutte le precondizioni per colpire MPAA con le sue stesse armi , ma pare che la faccenda si vada risolvendo in maniera decisamente meno cruenta.
In un commento recente sul suo sito personale, l’autore di Forest Blog fa sapere che l’organizzazione ha fatto sparire i contenuti del sito incriminato integrante il tool, che risulta al momento irraggiungibile. Nella mail inviata a Robin, MPAA si giustifica sostenendo che il blog è stato una sorta di portale ad uso interno usato a fini esclusivi di test , e qualora si fosse deciso di continuare ad aggiornarlo certamente sarebbero state pagate le 25 sterline necessarie all’acquisto della licenza.
“La cosa suona abbastanza corretta – commenta caustico Robin sul weblog – ma dubito fortemente che io avrei potuto cavarmela dopo aver piratato un po’ di film senza pubblicizzare la cosa e solo per usarli a fini di test!”.
E non è certo questo il primo caso in cui l’industria dei produttori dimostra di avere una considerazione molto personale della legge , della legalità e dello stato di diritto: nel dicembre scorso il CEO di Warner Music aveva punito uno dei suoi figli dopo averlo beccato a scaricare musica dal P2P, una birichinata, a suo dire, senza alcuna conseguenza legale , come invece accaduto per i figli di altri . E la stessa MPAA era già stata precedentemente accusata di pirateria da parte dell’autore di un documentario sul funzionamento interno dell’organizzazione stessa. Anche in quel caso è tutto finito in una bolla di sapone. E la legge, si sa, è uguale per tutti.
Alfonso Maruccia