Stilato dagli analisti di Millward Brown Digital , un dettagliato rapporto sul ruolo ricoperto dai principali motori di ricerca nella distribuzione online di contenuti in violazione del copyright. A dispetto degli sforzi profusi dal gigante Google – tra rimozione di milioni di link illeciti su segnalazione dei legittimi titolari dei diritti – i vertici della Motion Picture Association of America (MPAA) avrebbero trovato le prove inconfutabili della responsabilità di tutto il search (soprattutto quello di BigG) per la pirateria digitale.
Stando ai dati contenuti nel report di MPAA, il 19,2 per cento del totale delle visite verso i siti illeciti proviene dalle singole interrogazioni ai motori di ricerca sul web. In particolare, l’82 per cento di questa stessa porzione di traffico è da imputare ai link restituiti nella SERP di Google . Lo stesso report ha sottolineato come il 74 per cento degli utenti statunitensi si sia servito di un motore di ricerca per raggiungere (per la prima volta) un sito pirata.
A scatenare l’ira delle case di produzione cinematografica è un’altra scoperta degli analisti: il 58 per cento delle ricerche pirata è partito da parole chiave molto generiche – esempio, il semplice titolo di un film – dunque non direttamente collegate alla specifica modalità di consumo, legale o meno. Per gli studios, questa stessa percentuale andrebbe a far cadere una delle tesi difensive più care a Google, che alla ricerca di una determinata query generica corrisponde la visualizzazione di link assolutamente leciti.
È anche una questione di prospettiva metodologica , laddove le statistiche di Google – solo il 16 per cento del traffico verso The Pirate Bay proviene dai motori di ricerca – prendono in considerazione miliardi di interrogazioni ogni giorno in tutto il mondo. I dati di MPAA – curioso come a Google venga attribuita una fetta dell’82 per cento di tutte le query pirata, mentre la sua quota di mercato è del 67 per cento – prendono in considerazione le sole ricerche legate alla pirateria.
L’azienda di Mountain View sembra così diventata l’oggetto preferito delle pressioni dell’intera industria dell’audiovisivo. Il CEO della Recording Industry Association of America (RIAA) Cary Sherman ha bacchettato il motore di ricerca californiano, che non avrebbe adottato nei confronti dei pirati gli stessi accorgimenti contro la diffusione di materiale pedopornografico. Sherman vorrebbe poi che anche i browser come Chrome inizino a bloccare in automatico le pagine illegali come ad esempio The Pirate Bay . Contemporaneamente, le major del disco e del cinema hanno avviato un programma di sensibilizzazione e formazione nei primi gradi del sistema scolastico statunitense, nel contesto dell’educazione alla legalità previsto nei primi livelli del meccanismo noto come Copyright Alerts.
Mauro Vecchio