MPEG LA lo aveva già preventivato in passato , e ora l’organizzazione dell’industria che gestisce i brevetti multimediali passa dalle parole ai fatti: il “leader mondiale” nelle licenze sui codec e i formati audio-video chiama a raccolta le aziende per mettere assieme un pacchetto di “brevetti essenziali alle specifiche del codec video VP8 usato per distribuire contenuti video”.
L’obiettivo, dice MPEG LA, è quello di offrire ai proponenti di VP8 una opzione chiara e onnicomprensiva per ottenere le licenze d’uso dei suddetti brevetti. L’alternativa, taciuta dall’organizzazione ma possibile nei fatti, è vedersi trascinare in tribunale per violazione di brevetti proprietari assegnati dall’USPTO statunitense.
MPEG LA, che qualcuno ha già definito corrotta fino al midollo e impegnata a detenere un monopolio assoluto nel settore multimediale senza la benché minima considerazione per le regole della libera concorrenza, si prepara dunque a muovere guerra a Google, al suo progetto open source WebM – progetto che ha alla sua base proprio il codec VP8 e l’assunto che esso non includa alcuna tecnologia o brevetto proprietari.
Google, che pure ha deciso di aumentare la pressione nei confronti dello standard H.264 – codec “ufficiale” dell’alta definizione e dello streaming video licenziato da MPEG LA – decidendo di concentrare tutti i suoi sforzi sul supporto al solo WebM , non si dimostra affatto impressionata dalla mossa di MPEG LA e dice di essere impegnata nella formazione di una “vasta coalizione” agli antipodi di quella di MPEG LA e disposta a garantire la salvaguardia di VP8 e di non chiamare in causa alcuna potenziale, violazione di brevetto.
Le carte sono oramai in tavola, ma non è detto che la “minaccia” di MPEG LA si trasformi in un ostacolo concreto al futuro open di VP8/WebM: già in passato l’organizzazione aveva provato – senza successo – a istituire un “patent pool” per lo standard di comunicazione di quarta generazione LTE. Un prevedibile risultato pratico della nuova iniziativa di MPEG LA potrebbe essere invece il rallentamento dell’adozione dei formati promossi dal progetto WebM da parte dell’industria multimediale.
Alfonso Maruccia