Con il paese messo a dura prova da oltre un mese di shutdown, qualcuno ha finalmente trovato il modo di porre fine al blocco delle attività amministrative: tassare il porno. Così gli Stati Uniti finanzieranno la costruzione del muro al confine con il Messico fortemente voluto da Trump, almeno nel tratto che interessa l’Arizona. È la proposta avanzata nei giorni scorsi dalla senatrice repubblicana Gail Griffin.
L’Arizona, il muro col Messico e il porno
Il testo prevede che i produttori di dispositivi in grado di connettersi a Internet integrino soluzioni software in grado di impedire l’accesso a siti che mostrano “contenuti osceni”. Coloro che vorranno aggirare il blocco potranno farlo versando 20 dollari nelle casse della Arizona Commerce Authority. Il denaro così raccolto verrà destinato a un fondo (John McCain Human Trafficking and Child Exploitation Prevention Fund) che andrà a finanziare diversi obiettivi riconducibili alla volontà di (citiamo) “proteggere gli standard di decenza delle comunità”: per qualche motivo che esula dalla nostra comprensione il primo della lista è rappresentato proprio dalla costruzione del muro al confine messicano. Altre attività inserite nell’elenco sono legate alla tutela delle vittime di abusi, alla lotta alla prostituzione e al traffico di esseri umani.
Senza entrare nel merito della presunta incostituzionalità di una simile misura, dubitiamo che Samsung, Huawei, Apple, ma anche Microsoft e tutti gli altri protagonisti del mercato impegnati nella realizzazione e nella produzione di smartphone, tablet, computer o qualsiasi apparecchio in grado di connettersi a Internet, siano d’accordo.
La proposta, francamente, ci sembra fare acqua da tutte le parti. In primis perché se anche ognuno dei 4,27 milioni di maggiorenni residenti in Arizona dovesse sborsare 20 dollari, si arriverebbe a raccogliere circa 85 milioni di dollari, con tutta probabilità insufficienti per innalzare i 626 Km di muro al confine tra lo stato e il Messico. La spesa complessiva necessaria per coprire i 3.145 Km del progetto voluto da Trump (da costa a costa) è stimata in 25 miliardi di dollari.
Senza addentrarci ulteriormente in questioni economiche o tecniche, pare una contraddizione che se da una parte si punta il dito nei confronti dei portali che ospitano contenuti dalla natura discutibile (si citano anche il revenge porn e il favoreggiamento della prostituzione) esplicitando la volontà di inserirli in una blacklist, dall’altra si chiude un occhio concedendo possibilità di accesso a chi mette mano al portafogli. Come a dire che quei siti incoraggiano pratiche discutibili e illegali, ma pagando li si può visitare liberamente.