La musica, per il momento quella d’ambiente che è oggetto del caso in questione, non deve più passare obbligatoriamente attraverso l’intermediazione di SIAE, ma la raccolta dei diritti d’autore può essere affidata ad altri soggetti.
La questione riguarda l’ attività di Soundreef, startup che ha pensato di proporre i brani degli artisti emergenti come sottofondo per lo sciamare dei clienti in centri commerciali, supermercati et similia e già conta l’adesione di oltre 30mila cantanti indipendenti (soprattutto inglesi e statunitensi) per cui raccoglie i diritti in punti vendita di 15 paesi (dall’Europa alla Nuova Zelanda): ad attrarre gli artisti, anche un meccanismo di ripartizione che – a differenza di quello oscuro e statistico applicato per esempio in Italia da SIAE – grazie ad un processo analitico (pagamento di ogni passaggio della canzone registrata) finisce per premiare anche gli artisti meno affermati, e in tempi più rapidi.
Il crescente giro d’affari arrivato a raccogliere dagli investitori circa un milione di euro ha tuttavia inevitabilmente attirato l’attenzione, scaturendo in Italia in una causa legale.
A darle il via, una cantautrice e la radio Ros&Ros, specializzata nella creazione di playlist per i centri commerciali e annoverata fra i soggetti autorizzati da SIAE: questi si richiamavano all’ articolo 180 della normativa italiana sul diritto d’autore del 1941 che attribuisce a SIAE un mandato eslcusivo per la gestione dei diritti , deducendo così l’illiceità della posizione di Soundreef. La collecting society italiana, da parte sua, aveva cercato di fare la voce grossa rivendicando il suo monopolio e sottolineando come gli unici operatori autorizzati a fornire servizi di musica d’ambiente fossero quelli autorizzati da essa stessa: con il sottotesto neanche troppo in sottofondo che l’affidarsi a soggetti diversi avrebbe comportato il rischio di incappare in multe salate.
La battaglia sembrava delinearsi fin da subito come il più classico dei Davide contro Golia: il colosso SIAE, forte del suo regno di monopolio nazionale, contro la startup fondata da due trentenni italiani trasferitesi a Londra.
La fionda che potrebbe aver inferto un duro colpo a SIAE è invece il Tribunale di Milano: nel procedimento d’urgenza adottato ha fatto prevalere sulla normativa nazionale il diritto europeo della libera circolazione dei servizi, in base al quale è arrivato alla conclusione che “non sembra possibile affermare che la musica gestita da Soundreef in Italia, in centri commerciali e simili, debba obbligatoriamente essere affidata all’intermediazione della Siae”.
La normativa europea è stata applicata dal Tribunale, tuttavia, perché i due italiani , Davide D’Atri e Francesco Danieli, hanno fondato la loro azienda nel Regno Unito: i due hanno sottolineato il paradosso che li avrebbe visti uscire presumibilmente sconfitti se non avessero lasciato il loro Paese, ed hanno sottolineato come “la concorrenza sia legittima ed auspicabile perché produce effetti positivi soprattutto per i titolari dei diritti, spingendo le collecting society ad operare meglio ed in condizioni di maggiore efficienza”.
La posizione monopolista di SIAE, d’altronde, è minacciata da tempo sul fronte europeo: già nel 2008 Bruxelles ha iniziato a prendere in considerazione l’ipotesi di un mercato unico dei diritti d’autore. Una rivoluzione che sta prendendo forma e che nel Vecchio Continuente metterebbe finalmente le varie collection society nazionali in competizione tra loro.
Claudio Tamburrino