Sono i numeri dell’industria musicale globale, raccolti nell’ultimo Digital Music Report dalla International Federation of Phonographic Industry (IFPI). Una panoramica in chiaroscuro sull’universo sonico, ormai diviso dall’inevitabile solco dei tempi. Vecchi e nuovi consumi multimediali, dai vinili ai CD per finire con le grandi piattaforme di distribuzione su Internet.
I profitti nel vasto ecosistema digitale sono dunque aumentati dell’8 per cento rispetto all’anno scorso, per un valore complessivo di 5,2 miliardi di dollari . Merito soprattutto degli account attivi in Cina, che nel 2012 hanno contribuito al 71 per cento delle entrate derivanti dai servizi connessi. A completare il podio, Corea del Sud e Stati Uniti, rispettivamente con il 53 e il 52 per cento.
La continua espansione nei mercati asiatici è il segno di un’autentica esplosione di piattaforme di distribuzione come iTunes e Spotify. Alla fine del 2010, i due servizi erano presenti in 23 paesi del mondo. Dopo nemmeno due anni, singoli e album in formato digitale sono a disposizione degli ascoltatori di 68 nazioni . Con particolare spinta da parte delle economie emergenti come quelle in Brasile e India.
Ad aumentare parallelamente è anche il numero complessivo di abbonati ai vari servizi a sottoscrizione periodica. Stando al report di IFPI, la cifra si è assestata sui 13,4 milioni di utenti con una crescita del 65 per cento rispetto allo scorso anno . La vendita di album digitali è lievitata del 26 per cento, così come lo scaricamento tramite servizi à-la-carte (3,7 milioni, il 19 per cento in più).
Queste le note liete. Sempre nel 2011, il livello complessivo delle vendite globali di musica è sceso di 3 punti percentuali. Resta il momento di estrema crisi per il settore discografico tradizionale, ancora giù del 40 per cento rispetto all’anno 2001 . A soffrire sono anche i cosiddetti top market , come ad esempio in Giappone e Olanda. A cosa attribuire la colpa? La risposta di IFPI è piuttosto prevedibile.
L’ostacolo principale alla crescita nel mercato globale dell’intrattenimento, resterebbe la pirateria, che – secondo il presidente di FIMI Enzo Mazza, che cita i dati Tera Consultants – provoca una perdita di 6 miliardi di euro all’anno in terra europea, per cinema, editoria, musica, software . “In Italia – prosegue Mazza – si volatilizzano ogni anno 1,4 miliardi e sono più di 22mila i posti di lavoro perduti. La crisi non riguarda solo l’industria ma anche gli artisti: se non si seguirà un’adeguata agenda digitale l’industria creativa europea perderà entro il 2015 oltre un milione di posti di lavoro”.
IFPI ha poi tracciato le principali linee strategiche per l’immediato futuro. A parte il solito encomio per le misure adottate in paesi come la Francia, il 2012 dovrà essere l’anno degli intermediari. Ovvero soggetti operativi sul web come Google, che dovranno impegnarsi maggiormente per impedire ai netizen di accedere liberamente alle più svariate piattaforme pirata .
Mauro Vecchio