Sono trascorsi cinque lustri dalla chiusura di Napster, o per meglio dire dalla sua riconversione a servizio legale. E le evoluzioni del mercato dell’industria musicale sono state vorticose, portando alla nascita degli attuali servizi di streaming e download legali . Il “grande nemico digitale” è diventato col tempo un partner fondamentale delle major, seppur con alcune riserve. Accantonate le minacce dei servizi pirata, che nonostante le aspre battaglie continueranno sempre ad esistere, le case discografiche si trovano a dover adattare il loro business a un mercato completamente stravolto. Si è ancora lontani da una pacificazione duratura e da una direzione univoca. Se da un lato YouTube si autocelebra per aver partecipato da attore protagonista nella ripresa dell’industria musicale, dall’altro quest’ultima continua a rivendicare royalties più elevate.
Secondo il report 2016 IFPI Global Music i proventi derivati dalla vendita/sfruttamento della musica digitale sono aumentati del 3,2 per cento sorpassando le entrate generate dal tradizionale canale di vendita. Il digitale contribuisce ormai al 45 per cento dei ricavi del settore. Perché dunque le etichette non esultano? Perché gli accordi commerciali sarebbero penalizzanti per queste ultime.
Nonostante la forte crescita, il passaggio al digitale si traduce nella difficoltà di generare ricavi sostenibili per gli artisti e le etichette discografiche. Eppure YouTube conferma di aver “foraggiato” l’industria musicale con 1 miliardo di dollari negli ultimi 12 mesi e solo considerando i proventi pubblicitari. Cifra che secondo YouTube è destinata a crescere, auspicando la migrazione degli investimenti da TV, radio e stampa verso l’online. A livello complessivo, lo streaming nei primi sei mesi dell’anno ha generato 1,6 miliardi di dollari pro industria, un valore in aumento del 57 per cento rispetto allo scorso anno.
In seconda battuta è bene ricordare che sui rapporti tra servizi digitali e industria musicale si innestano temi che vanno ben oltre l’aspetto economico. Youtube è una vetrina senza eguali per molti artisti scarsamente rappresentati dall’industria tradizionale. Per loro le opportunità di visibilità non hanno prezzo (va bene anche accontentarsi di royalties inferiori). È un business che si alimenta e cresce in maniera quasi autonoma e YouTube rappresenta un “acceleratore” irrinunciabile in questo processo. Ciò significa che, nella guerra tra piattaforme musicali e industria, l’artista si sente legittimato più che in passato a combattere: e oggi non è sempre scontato da quale parte decida di schierarsi. Secondo la classifica di Forbes , ai 12 youtuber più ricchi è arrivata una cifra complessiva di 55 milioni di dollari negli ultimi mesi, con un incremento del 23 per cento sull’anno precedente. C’è da scommettere che questi fortunati siano pienamente soddisfatti dei risultati raggiunti e poco interessati dai lamenti dell’industria dell’intrattenimento e della musica.
È evidente che i servizi di streaming musicale sono i veri protagonisti del momento. Quelli specializzati in musica si stanno moltiplicando, e si stanno creando sempre più ibridi tra video e musica in stile YouTube. La folta famiglia ospita Apple Music, Pandora, Amazon Music, Spotify solo per citare i più noti. In soli sei mesi lo streaming a pagamento ha raggiunto un giro di affari di 1,01 miliardi di dollari (una crescita del 112 per cento rispetto al 2015). I nuovi attori hanno saputo imporsi molto rapidamente, a dimostrazione che le opportunità di mercato sono elevate e gli utenti chiedono effettivamente questi servizi. In soli 18 mesi, Apple Music ha registrato 20 milioni di utenti paganti (l’obiettivo è arrivare a 100 milioni come confermato da un portavoce Apple). E per chi crede che si tratti di un semplice spostamento di utenti si sbaglia: oltre il 50 per cento degli utilizzatori di Apple Music vivono fuori dagli Stati Uniti e più del 60 per cento non ha acquistato nulla nello store di iTunes negli ultimi 12 mesi. Nuovi e preziosi clienti quindi.
La vivace tensione del mercato delle piattaforme di streaming musicale si respira ovunque in Rete. Non passa giorno che non si assista alla nascita di nuovi servizi, acquisizioni o evoluzioni. Gli occhi in questi giorni sono puntati su Pandora Premium , un servizio che offre un catalogo sconfinato di musica, in grado di predire i gusti dell’utente per creare playlist affini ai suoi gusti. Ogni mese sono 78 milioni gli utenti che usano il servizio nella sua versione base. Le aspettative dell’azienda sono di diventare il terzo player di mercato entro il 2020. Amazon Music ha aspettative simili (e conta sui già clienti Prime), mentre Spotify sembra intenzionata ad acquisire SoundCloud espandendo ancor più il suo bacino di utilizzo attualmente di circa 40 milioni di utenti.
Mirko Zago