La stabilità è la cifra del mercato musicale italiano fotografato nel 2016: sotto la superficie calma dei numeri d’insieme si agitano tendenze in corso da tempo, a erodere i ruoli e modificare i fattori che garantiscono rendite costanti. Se il comparto fisico resta il principale canale di entrate per il mercato italiano, riferiscono i numeri raccolti da Deloitte per FIMI, lo streaming, e in particolare lo streaming su abbonamento, rappresenta la promessa più concreta per il futuro.
Il mercato italiano della musica, dopo il balzo registrato nel 2015 per tutti i formati di fruizione, ha vissuto nel 2016 un momento di sostanziale stabilità: il fatturato è cresciuto dello 0,4 per cento, a sfiorare i 149,5 milioni di euro. L’equilibrio dei fattori che vi contribuiscono è ancora a favore del mercato fisico, a differenza di contesti come quello statunitense , ma il pareggio si avvicina: nel 2016 al digitale si è dovuto il 46 per cento del fatturato , in crescita di 5 punti percentuali rispetto al 2015 e in crescita del 12,9 per cento in termini di fatturato, mentre il mercato della musica su supporto fisico ha fatto registrare una perdita dell’8,2 per cento in termini di incassi.
A sostenere le entrate, sospingendo la costante crescita del comparto digitale, è l’avanzata dello streaming, alimentata da un panorama di offerte sempre più florido. A differenza di altri mercati come quello statunitense , in cui lo streaming ha sorpassato la musica fisica nel 2014, la crescita della musica in streaming sul mercato italiano matura ai danni di un mercato del download in calo sempre più accentuato (-23,9 per cento nel 2016, a fronte del -5 per cento del 2015). Questa tendenza, in corso sul mercato globale da tempo, mostra con chiarezza i limiti della musica digitale in download: da una parte è incapace di sostituirsi alla musica su supporto fisico con relativo paratesto, particolarmente apprezzato in formato vinile, e dall’altra è incapace di reggere il confronto con la libertà di fruizione e la possibilità di esplorare garantita dallo streaming.
Lo streaming , in Italia, rappresenta il 79 per cento del mercato digitale e il 36 per cento del mercato complessivo della musica, con un fatturato che ha superato i 54 milioni di euro. A crescere in maniera più evidente in termini di fatturato è lo streaming su abbonamento : vale 35,269 milioni di euro, e nel giro di un anno ha registrato un aumento di valore del 39,4 per cento. Anche lo streaming supportato dalla pubblicità cresce in maniera evidente (+30,9 per cento rispetto al 2015), ma il fatturato resta più contenuto: vale 8,759 milioni di euro, ma vale soprattutto come incentivo alle registrazioni per la fruizione a pagamento.
Per l’industria della musica italiana, così come per i soggetti che operano su altri mercati , è invece meno soddisfacente il valore dello streaming musicale mediato dalle piattaforme video : il cruccio dell’industria della musica è rappresentato da YouTube, a cui una enorme percentuale della sua enorme base di utenti si rivolge per attingere musica, senza però garantire ritorni economici ritenuti proporzionati. “La forte differenza tra i ricavi da video streaming e audio – lamenta il CEO di FIMI Enzo Mazza – lascia ancora emergere il tema del value gap con piattaforme come YouTube, sulla quale vengono realizzati miliardi di stream (la piattaforma di video sharing è utilizzata per ascoltare musica dall’89 per cento degli italiani – fonte Ispsos Connect 2016 ) ma che genera pochissimi centesimi per gli aventi diritto a causa di un baco normativo comunitario”.