Tempi di conferme : la musica senza lucchetti vende decisamente più della musica protetta con sistemi DRM.
A snocciolare dati, segnala Ars Technica , è lo store inglese 7 Digital , che vanta un catalogo di 3 milioni di brani, frutto del lavoro di artisti indipendenti e di musicisti che operano sotto l’ala delle grandi etichette. L’ 80 per cento dei consumatori di musica che si rivolgono allo store preferisce brani senza DRM .
Gli utenti di 7 Digital scelgono MP3 in luogo di WMA e AAC, quando attingono al 60% del catalogo offerto in differenti formati. La motivazione? “Il formato MP3 – spiega il dirigente dello store Ben Drury – è l’unico realmente interoperabile, funziona con iPod, con la maggior parte dei telefonini (iPhone incluso), con tutti i player MP3”. “I consumatori sono ben più avveduti di quanto si pensi”: scegliendo MP3 senza lucchetti possono disporre dei loro acquisti come meglio credono .
7 Digital rivela inoltre dei dati significativi riguardo alle preferenze dei consumatori: coloro che acquistano presso lo store musica DRM free , sarebbero altresì i consumatori meglio disposti ad investire in album completi, senza accontentarsi di singoli brani.
È rendendo pubblici questi dati che Drury spera di incoraggiare l’industria dei contenuti ad imboccare la strada della musica libera da vincoli di sorta, transizione che lo stesso Drury aveva pronosticato per il 2007. Una previsione che sembra essersi in parte realizzata: oltre alla rivoluzionaria mossa dei Radiohead, hanno scelto di vendere senza DRM aziende lungimiranti come Amazon e Apple, che ha recentemente ripensato i prezzi della musica venduta su iTunes Plus .
Benché quello della musica legale venduta online sia un mercato in netta crescita , parte dell’industria dei contenuti ancora ritiene che la musica non protetta possa diventare materiale di scambio per coloro che operano nell’illegalità, rivolgendosi alle reti P2P. Una pratica che a parere dell’industria non incoraggia il consumo di musica legale, contrariamente a quanto sembrava dimostrare una recente indagine canadese .
Le ultime critiche ad investire lo studio empirico che analizza le abitudini di acquisto dei musicofili canadesi giungono da George Barker e Richard Tooth, ricercatori presso la Australian National University . Analogamente alle obiezioni sporte da un ricercatore dell’università del Texas, nella revisione australiana si torna a sottolineare l’inadeguatezza della metodologia dell’indagine, contestando ora al report errori di un’entità tale da incoraggiarne la rimozione dalla rete.
I ricercatori canadesi che hanno osservato il fenomeno – si spiega nell’analisi australiana – hanno individuato una relazione di causalità che in realtà non sussiste : è come se avessero osservato “una relazione positiva tra la frequenza con cui ci si reca in ospedale e il progredire di una malattia, e avessero concluso che recarsi in ospedale sia deleterio per la salute”. In sostanza, nulla dimostra che sia proprio il download a stimolare la propensione all’acquisto: si sarebbero dovute prendere in considerazione altre variabili come reddito, affezione per la musica, percezione di rischi e vantaggi nel download illegale. Un’obiezione supportata dai numeri, proseguono Barker e Tooth: se il download illegale incoraggiasse realmente l’acquisto di CD, il mercato canadese della musica non avrebbe assistito ad una compressione del 47% delle entrate, fra il 1999 e il 2006.
Gaia Bottà