Roma – Gli operatori mobili statunitensi – e non solo – sono ancora in attesa che le vendite di musica per cellulari facciano effetto… sui bilanci. Come riporta Reuters/Billboard , l’industria del settore è ancora alle prese con modelli di business immaturi o comunque ancora in fase di collaudo. Le scelte, a dir la verità, non sono molte: acquisto à la carte o abbonamento forfait. La maggior parte dei carrier si affida ancora al primo sistema, ma gli esperti sostengono che i soldi si faranno solo con il secondo.
AT&T, ad esempio, la scorsa settimana ha lanciato il servizio Napster Mobile che consente di acquistare una traccia audio per 2 dollari. L’obiettivo a medio termine, però, è quello di offrire un abbonamento per il download illimitato. Secondo Rob Hyatt, direttore premium content di AT&T, ci vorrà del tempo perché vi sono ancora problemi correlati alla tecnologia, alla politica dei prezzi e all’educazione dei consumatori.
Dal punto di vista tecnologico, il problema non è tanto il traffico in download, quanto invece il software. Per Brad Duea, CEO di Napster, le piattaforme dovrebbero consentire la gestione di abbonamenti rinnovabili mensilmente – un po’ come succede già in Giappone con i servizi di NTT DoCoMo.
La seconda questione riguarda le tariffe: gli operatori devono ancora trovare un equilibrio tra i costi del traffico generato e i listini applicabili agli abbonamenti. In Europa MusicStation permette di scaricare sui cellulari tutta la musica che si desidera con 1,99 sterline (2,8 euro) la settimana. Come sottolinea Reuters , negli Stati Uniti lo stesso servizio arriverebbe a costare molto di più, forse, a onor del vero, per la differenza di maturità dei due mercati. Gli operatori mobili statunitensi sanno bene che i servizi online che offrono musica su abbonamento non hanno ancora riscosso un gran successo: perché rischiare proponendo lo stesso modello in ambito mobile?
Insomma, tutti sperano di andare oltre il mercato delle suonerie, ma ci vorrà del tempo. Lo confermano soprattutto i dati divulgati recentemente da Sony BMG. “Le entrate provenienti dalla telefonia mobile si sono appiattite, mentre quelle online sono in costante crescita”, ha dichiarato Ian Henderson, direttore della divisione europea del colosso della musica. “I servizi musicali ad abbonamento comunque stanno iniziando a venire fuori, e penso quindi che aiuteranno a risollevare la situazione”. Lo scenario di partenza comunque è chiaro: negli ultimi sei mesi le vendite musicali online sono cresciute del 50%, quelle mobili hanno sfiorato lo zero.
Di fronte all’attesa di un mercato che non accenna a decollare, qualcuno getta nella mischia del grande business musicale un ulteriore possibilità: il ritorno in auge del vinile. Eliot Van Buskirk sostiene su Wired , con dovizia di particolari, una tesi quanto mai bizzarra: le major non si sarebbero accorte del rinnovato interesse dei consumatori nei confronti di LP e singoli in vinile. Non si capisce se si tratti di un pamphlet a difesa dei diritti alle passioni nostalgiche o di un suggerimento per cavalcare economicamente un imprevisto rigurgito modaiolo. Certo è che in Italia, in base ai dati raccolti da Bocconi ASK il vinile sembra proprio un capitolo chiuso. L’anno scorso, su 26 milioni di supporti musicali venduti, non sono stati più di 12mila gli album e i singoli in pregiato vinile. Per la felicità di ecologisti, oncologi e dei residenti di Porto Marghera – il suo petrolchimico si distingueva anche nella produzione di polivinilcloruro (PVC – vinile).
Dario d’Elia