Non accennano a placarsi le polemiche relative al videogame chiamato Muslim Massacre, una sorta di emulatore di jihad al contrario in cui il giocatore è chiamato a sterminare i musulmani. Il gioco, già finito sotto i riflettori in mezzo mondo, ha ora suscitato proteste anche in Australia, patria peraltro del suo autore: secondo le comunità islamiche l’authority locale avrebbe minimizzato la gravità, utilizzando due pesi e due misure nel prendere i provvedimenti necessari. Sale la protesta negli ambienti islamici, ma il gioco è ancora online.
Come ben sanno i lettori di Punto Informatico , il gioco invita l’utente a vestire i panni di un eroe americano in stile Rambo sbarcato in Medioriente per sterminare i musulmani. Subito dopo l’uscita del titolo, varie associazioni sparse in tutto il globo hanno manifestato il proprio dissenso per il videogame, accusato di generare odio gratuito verso i musulmani e la loro religione. L’eco della protesta non ha di certo risparmiato l’Australia, paese di origine di Eric Vaughan: in una lettera indirizzata all’ufficio del procuratore generale Robert McClelland, Keysar Trad, presidente della Islamic Friendship Association ha espresso la propria indignazione riguardo al gioco, reo a suo dire di “insegnare ai giovani di odiare preventivamente i musulmani e incoraggiarli a compiere atti di discriminazione, di diffamazione o di violenza gratuita contro i propri compatrioti di religione islamica”.
Ma non solo: “Muslim Massacre rappresenta una violazione delle misure di sicurezza contenute nelle leggi antiterrorismo e sulle leggi che vietano l’incitamento alla violenza contro determinate sezioni della società australiana” – continua Trad nella sua lettera. Secondo Trad, l’authority avrebbe utilizzato due pesi e due misure: come prova della sua tesi, cita il caso di un cittadino residente nel New South Wales, arrestato per aver messo a disposizione online un manuale su come realizzare atti terroristici. Nell’opinione di Trad il caso fornirebbe un precedente in base al quale anche Vaughan dovrebbe essere arrestato e processato.
Diverso il parere delle autorità australiane, secondo cui l’autore del gioco non avrebbe commesso alcun reato nel renderlo volontariamente indisponibile per il download, una motivazione che non convince l’organizzazione di Trad: la questione è controversa al punto che comunque sul videogame e sui suoi presunti aspetti lesivi la polizia di Queensland ha aperto un fascicolo. Stando a quanto fatto sapere dagli inquirenti, “il gioco è stato esaminato e non vi è stata rilevata alcuna offesa verso i cittadini di fede islamica”.
Dure le critiche che provengono dall’ambiente islamico: la risposta fornita dalle autorità non darebbe rilevanza a quello che è visto come un grave affronto. Di rimando, i magistrati sono accusati di applicare le norme antiterrorismo in maniera selettiva: “Posso immaginare cosa sarebbe accaduto se il gioco fosse stato sviluppato da un musulmano, ponendo popoli occidentali come bersaglio: di sicuro sarebbe stato subito incriminato” provoca Trad.
Sensazionalismi a parte, il videogame rischia di trasformarsi in un vero e proprio incidente diplomatico/politico. Il creatore di tutto si dice dispiaciuto della vicenda, rivendicando la sua buona fede: “La gente penserà che io sia una persona orribile, ma credo che il livello di accettazione dei musulmani nella società odierna sia cresciuto anche grazie a quello che ho fatto”. Dichiarazioni che potrebbero essere facilmente travisate, così come sarebbe stato travisato lo spirito del gioco: nelle intenzioni di Vaughan vi era quella di polemizzare contro la politica estera statunitense. Il tutto, creando un gioco che osannasse l’eccidio del popolo islamico al solo scopo di far aprire gli occhi, facendo uso di una satira il cui senso a molti è sfuggito. Ai più, il mea culpa dell’autore è stato visto come un tentativo estremo di difesa, un modo per uscire indenne da un caso diventato troppo serio.
Nonostante ciò, nonostante le pubbliche scuse fornite dal giovane programmatore, la polemica continua. A gran voce è richiesta una presa di posizione contro il gioco e contro l’autore: dalla Gran Bretagna viene chiesta la messa al bando del gioco dalla Ramadhan Foundation , poiché giudicato profondamente offensivo e diseducativo. “Quando i bambini passano molte ore al giorno giocando a videogame violenti, sono molto più soggetti a commettere atti violenti nella vita reale” dichiara Mohammed Shafiq, a capo del gruppo.
Mentre scriviamo il sito web su cui è stato pubblicato il gioco risulta inaccessibile per problemi di server, ma la sua circolazione è comunque garantita dalla presenza sui circuiti di sharing.
Vincenzo Gentile