Milano – È così Xiaomi è entrata a far parte di un club esclusivo: quello del quale fanno già parte Apple, Samsung e Huawei, ovvero le prime tre aziende del settore smartphone, fatto di chi produce sia telefonini che i chip presenti al loro interno . Lo hanno chiamato Surge S1, ha richiesto più di due anni di sviluppo, ed è stato reso possibile dallo sforzo congiunto dei tecnici Xiaomi e dai capitali e le risorse messe a disposizione dal Governo cinese – tutto confluito in Pinecone, una sussidiaria creata dalla stessa Xiaomi per portare avanti il progretto.
Benchmarks? You be the judge. #SurgeS1 pic.twitter.com/dZ1RoVbKl5
— Mi (@xiaomi) February 28, 2017
Sul piano tecnico il nuovo Surge S1 è un octa-core big.LITTLE basato su design ARM: due cluster di Cortex-A53 da 2,2GHz per la parte di potenza e da 1,4GHz per la parte più efficiente, abbinati a una GPU Mali-T860. Nel complesso è un prodotto di fascia media, realizzato ancora con tecnologia 28nm nelle fonderie TSMC, da confrontare con la serie 600 degli Sanpdragon e i Mediatek P20 e P10 : anche Huawei ha i suoi prodotti analoghi, i Kirin classe 600, che dovrebbero offrire prestazioni paragonabili. Considerto che il prodotto Xiaomi è in gestazione dal 2014, va detto che è abbastanza ben messo: dovrebbe supportare senza problemi il video in risoluzione 4K, così come le chiamate in alta definizione via VoLTE.
Ciò detto, va compresa fino in fondo il valore di questa mossa : negli ultimi mesi le cose non sono andate perfettamente lisce per Xiaomi, che ha dovuto dire addio a un fuoriclasse reclutato tra le fila di Google che doveva costituire il volto amico per uno sbarco in occidente in grande stile (Hugo Barra, passato a Facebook ), e la crescita un tempo stupefacente delle vendite si è appiattita. L’ultima zampata era stata la conferenza stampa a sorpresa allo scorso MWC di Barcellona, quando era stato presentato il Mi5 con a bordo lo Snapdragon 820.
Proprio in un fratello minore di quel Mi5 troverà spazio per la prima volta il Surge S1: si tratterà ovviamente di un prodotto di fascia media, il Mi5c, venduto attorno ai 200 euro in Cina ( unico mercato su cui sarà venduto ), ma strategicamente è un momento importante. Poter montare un SoC prodotto in casa significa abbattere i costi e aumentare i margini su ogni singolo pezzo venduto , senza contare che è possibile adattare al meglio le qualità dell’hardware per adeguarsi alle esigenze del software sviluppato dalla stessa Xiaomi. Lo fanno già Apple, Samsung e Huawei : controllare l’intero telefono, l’intera piattaforma, significa giocare ad armi pari con i pesi massimi del settore. Resta da comprendere, ovviamente, se lo sviluppo futuro dell’hardware riuscirà a tenere il passo di quello dei concorrenti.
Quanto alle motivazioni del Governo cinese per decidere di investire in Pinecone e dunque in Xiaomi, è evidente che quello dei semiconduttori è un mercato che sarà sempre più essenziale per un’economia in fase di sviluppo come quella di Pechino . Xiaomi è stata selezionata probabilmente per via del suo radicamento profondo sul mercato cinese, visto che la spinta all’apertura al mercato internazionale pare ormai essersi esaurita e il focus è tornato sulla madrepatria.
Luca Annunziata