Yangon – La propaganda in Myanmar è sempre più pressante: la giunta militare che dal 1962 regge il paese ritrae i pacifici manifestanti come sobillatori al servizio dei governi stranieri e della Lega Nazionale per la Democrazia ( NDL ), a cui fa capo il premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi. La censura blocca ogni contenuto non emesso dal governo, i media locali sono costretti ad uniformarsi alla linea editoriale di stato, mentre si è tentato di ridurre al silenzio i media esteri interrompendo gli snodi nevralgici di comunicazione.
Censura, repressione e note ufficiali: la tattica messa in atto dalla giunta militare per far calare sul paese una cortina di silenzio sembra ricalcare quella del 1988 . Un solo discriminante elemento a differenziare lo scenario dei media, spiega a Reuters Dominic Faulder, reporter inglese che opera da Bangkok: la tecnologia . “Ora l’intera popolazione è composta da giornalisti equipaggiati con ogni tipo di strumento capace di catturare immagini”: sono smartphone e cam portatili, e la Rete con le piattaforme di condivisione di contenuti, a permettere ai netizen di spezzare l’irreale silenzio che avvolge la ex Birmania .
La giunta militare da anni opera un controllo sistematico e pervasivo anche su Internet, controllo che si è inasprito con il montare delle proteste, scatenate lo scorso agosto dall’aumento del prezzo del carburante imposto dal governo.
Sebbene online siano stati banditi media stranieri, locali e grassroot, sebbene il governo abbia chiuso numerosi Internet café, e le perquisizioni a tappeto abbiano condotto al sequestro di computer e all’ arresto di oltre duecento attivisti, dagli estremi della Rete , i cittadini birmani connessi, continuano a far trapelare notizie , che rimbalzano all’estero e all’interno del paese. “I giovani sanno come aggirare i controlli operati su Internet”, spiegava ad AFP Aung Din, a capo di US Campaign for Burma , un’organizzazione che preme perché i cittadini del Myanmar possano tornare a godere dei diritti civili.
I serpenti ordinati dei monaci buddisti, immortalati dalle cam dei netizen birmani, sfilano su YouTube , nonostante la giunta militare abbia ordinato il bando della piattaforma. Immagini rilanciate dai media occidentali e dai media locali, che come i quotidiani The Irrawaddy o Mizzima , gestiti da giornalisti birmani esiliati, operano in un regime di semi-clandestinità oltre i confini del paese.
Anche la blogosfera birmana si popola di contributori, liberi di esprimersi e di testimoniare, finché non vengono raggiunti dai tentacoli censori del potere. Postano in diretta , raccontano con parole e immagini dei cordoni di militari e delle operazioni di salvataggio delle vittime delle violenze, offrono commenti ad uno scenario i cui contorni sembrano sfumare in tinte sempre più fosche.
Ferve l’attività anche sui forum : fungono da punto di incontro per una società civile alla quale il governo nega il diritto di riunirsi.
“È la realtà delle globalizzazione”: così, Sein Win, politico esiliato a capo di Mizzima News , spiega l’operato documentaristico dei netizen del Myanmar. “La tecnologia sta facendo la differenza – soggiunge Sein Win – ora chiunque nel mondo può sapere cosa sta succedendo in Birmania, grazie a Internet”. Grazie a Internet, grazie all’intelligenza collettiva della comunità dei netizen , agli estremi della Rete.
Gaia Bottà