Sviluppando idee di ingegneria genetica che valsero, quattro anni fa, il nobel ai loro ideatori, ricercatori del California Institute of Technology di Pasadena hanno per la prima volta testato una tecnica di inibizione della produzione di proteine che promette di rivoluzionare la medicina terapeutica . A cominciare dal cancro, obiettivo che nel lavoro di Mark Davis e colleghi (pubblicato su Nature ) è stato attaccato con successo da nanoparticelle non più grandi di 70 nanometri.
I nanobot in questione sono stati introdotti nel corpo di 15 pazienti ammalati di melanoma (cancro della pelle), con lo scopo ben preciso di trasportare alcuni frammenti di RNA nei nuclei delle cellule tumorali grazie alla tecnica nota come RNA interference . Ideata dagli americani Andrew Fire e Craig C. Mello (poi vincitori del Nobel alla medicina nel 2006), la tecnica è in grado di interferire e spegnere un particolare elemento funzionale del codice genetico permettendo di modificare a piacimento il funzionamento delle cellule.
Molti sono stati i tentativi di applicare la RNA interference alla cura delle patologie nell’uomo, e i nanobot sviluppati dal team di Mark Davis rappresentano il primo, importante successo in tal senso. Le particelle nanometriche sono composte da due polimeri in aggiunta a una proteina che permette loro di legarsi ai recettori presenti sulle cellule regredite allo stato canceroso.
Il successo del test si misura nel fatto che le nanoparticelle sono state somministrate ai pazienti e hanno percorso il sistema circolatorio fino a raggiungere – come verificato da una successiva biopsia – le cellule del cancro, penetrare nel nucleo e disattivare la produzione di proteine da parte del gene RRM2 (elemento chiave della moltiplicazione cellulare nel cancro). “Si sono introdotte, hanno evaso il sistema immunitario, hanno rilasciato l’RNA e i componenti disassemblati sono usciti” ha commentato Davis.
I nanobot hanno fatto insomma un lavoro pulito, che non ha sin qui fatto registrare particolari controindicazioni per la salute dei pazienti: e, cosa altrettanto importante, più ne sono stati introdotti nel corpo maggiore è stata la loro presenza all’interno del tumore.
La comunità scientifica guarda con interesse alla ricerca di Pasadena ma avverte: molto rimane ancora da fare e occorre valutare in maniera più approfondita (e su un numero maggiore di pazienti) gli effetti complessivi dell’utilizzo di nanoparticelle anti-tumorali. In attesa di ulteriori conferme future, a ogni modo, il biologo molecolare della Rockefeller University di New York, Thomas Tuschl, definisce “emozionante” il fatto che “tali nanoparticelle in schemi di dosaggio multipli possano raggiungere il tessuto e apparentemente avere effetti misurabili”.
Alfonso Maruccia