Una micropinza, anzi, una nanopinza potrebbe rivoluzionare il mondo della microchirurgia: l’ha concepita la Johns Hopkins University , per mano del suo ricercatore David Gracias .
Somiglia vagamente a una mano e ha sei “dita” opponibili (vedi figura, prodotta dal ricercatore Timothy Leong dello stesso Ateneo). Come è realizzato il nanomotore che muove queste dita? Il meccanismo è chimico. Quando i microstrati vengono a contatto con una certa quantità di una sostanza che agisce da trigger , esse si chiudono proporzionalmente. Dosandola, dunque, è possibile comandare la forza di “chiusura” e somministrando un apposito anti-trigger , se ne ottiene la riapertura.
Il singolare nanoattrezzo può passeggiare per il corpo mosso da un apposito magnete. Una volta sul posto, può asportare nanoporzioni di tessuto, effettuare nanooperazioni chirurgiche come biopsie o altri interventi che il medico ritenga utili.
“Vogliamo attrezzi chirurgici mobili” dice a Technology Review il ricercatore, che è professore di ingegneria biomolecolare e chimica presso l’Ateneo. “L’obiettivo finale è disporre di una macchina che si possa far ingoiare o iniettare, e faccia cose per nostro conto”.
Per esempio, spiega la rivista del MIT, un’apposita versione della nanopinza potrebbe essere posizionata in prossimità di un tessuto infetto e, progettata per reagire alla sostanza infettante come trigger , asportare un pezzo di tessuto sul posto e portarlo all’esterno per le successive analisi. Non richiede alcuna fonte di energia .
Potrebbe essere gestita da un’apposita micromano , oppure potrebbe essere alloggiata in una robopillola e liberata all’occorrenza: non c’è limite, viste le dimensioni, di appena 500 micron quando aperta .
I futuri sviluppi di questa chirurgia sono un’ulteriore miniaturizzazione – lo scienziato spera di arrivare a 10 micron – e la reattività a numerosi tipi di trigger , così da reagire, ad esempio, a diversi tipi di batteri e permetterne l’analisi.
Marco Valerio Principato