Washington – Il rapporto statunitense che avrebbe dovuto fare il punto delle ricerche sulle tecnologie a nanoparticelle è stato rilasciato al pubblico lo scorso mese di agosto da un gruppo di lavoro del Nanoscale Science Engineering and Technology Subcommittee (NSET), parte del National Science and Technology Council statunitense . Un imponente progetto di classificazione e prioritizzazione degli studi sui potenziali effetti nocivi del nanotech applicato all’ambiente e al metabolismo umano, uno studio che viene ora pesantemente criticato da David Rejeski (nella foto), capo del Project on Emerging Nanotechnologies presso il Wilson Center .
“La ricerca federale sui rischi della nanotecnologia è un po’ come una nave senza un capitano, e non è ben chiaro chi abbia la responsabilità di governare questa nave nella giusta direzione ed assicurarsi che essa raggiunga la sua destinazione”, denuncia allarmato Rejeski.
Il rapporto del gruppo NSET, che segue il parere della Food and Drug Administration sulla non pericolosità dei prodotti a nanotecnologie fino a prova contraria , fallisce per Rejeski l’obiettivo di essere quel “piano di ricerca federale accuratamente predisposto sugli effetti della nanotecnologia sull’ambiente, la salute e la sicurezza di cui è stata urgentemente richiesta la creazione dai leader di entrambe i partiti del Congresso, dall’industria, dalle società di investimenti, dagli scienziati e dalle organizzazioni dei consumatori”.
Tra le mancanze più gravi l’esperto cita i budget di spesa predisposti, la tempistica di implementazione dei progetti e l’assegnazione di precise responsabilità a soggetti ben definiti. Un rapporto che “riflette il fallimento del governo”, dice ancora Rejeski, dopo la distribuzione di oltre 8 miliardi di dollari per la ricerca nanotecnologica sin dall’anno fiscale 2001.
Ricerca il cui gravoso compito dovrebbe andare, secondo Rejeski, a quelle organizzazioni di controllo quali appunto la FDA, EPA e altre che già hanno strutture adeguate alla salvaguardia dei rispettivi ambiti di interesse . “Se questo documento è davvero la base di una strategia di rischio, c’è ancora parecchia strada da fare” conclude infine Rejeski.
Alfonso Maruccia