Difficile convivere e soggiornare a lungo nello Spazio. Lo Spazio è grande, ma non abbastanza da evitare, in alcuni casi, i contrasti tra gli umani. E in certe situazioni è davvero una circostanza da evitare, ne sono convinti alla NASA e per questo hanno dato il via al progetto di una Virtual Space Station , un sistema finanziato con 1,74 milioni di dollari che si prefigge proprio di fungere da “psicologo spaziale” on-demand .
Si tratta di un sistema particolare, che si avvale di un terapista registrato su video. I suoi interventi seguono un sistema analitico preciso ed attuano un metodo terapico ampiamente usato e collaudato, chiamato Problem-Solving treatment . Aiuta gli astronauti nell’identificazione delle ragioni del proprio eventuale stato depressivo. Tenta poi di aiutarli a superare il disagio, basandosi sulle descrizioni dei problemi che essi stessi hanno descritto, inserendoli nel sistemone. Della terapia fa parte anche il role-playing e la lettura di brani da testi di psicologia, ove ritenuti proficui dal sistema.
Insomma, un sistema alquanto articolato che, con l’aiuto di complessi algoritmi e tanta intelligenza artificiale, tenta di ricostruire una sorta di terapista automatico e intelligente a bordo, segmentando gli interventi in microunità terapeutiche, assemblandole e presentandole in relazione alla problematica incontrata.
Lo Spazio, del resto, può influire sull’umore attraverso un rivoluzionamento dei normali ritmi naturali del corpo e del ciclo del sonno e l’assenza di peso sembra essere il principale responsabile di questa rivoluzione fisica. Sulla International Space Station, ad esempio, il normale alternarsi del giorno e della notte è sovvertito: albe e tramonti artificiali si susseguono ogni 45 minuti. Rivedere la propria famiglia, a causa della distanza dalla terra, può divenire un miraggio per mesi. L’impraticabilità di una “passeggiata”, di uno svago tradizionale, possono incidere seriamente sulla stabilità interiore e sull’umore.
L’effetto può manifestarsi in molti modi: in ogni caso, “se le cose prendono una direzione sbagliata, ci si trova a dipendere ciascuno dall’altro per la propria sopravvivenza. Per questo si desidera che le persone abbiano un buon rapporto di lavoro tra loro e abbiano implicita fiducia una nell’altra”, spiega il dottor Jay Buckey, ex astronauta sullo Space Shuttle, ora impegnato a collaborare con il programma Virtual Space Station.
Non sarebbe proponibile affidarsi, per una terapia on-demand , ai servizi di telecomunicazioni verso terra, in quanto non sempre disponibili a bordo delle strutture spaziali e, comunque, affetti da latenze elevate (anche 40 minuti, parlando ad esempio di distanza Marte-Terra): tale limite, in caso di contrasti, non renderebbe percorribile il ricorso all’aiuto di uno psicologo in carne ed ossa a terra.
Per questo nel progetto Virtual Space Station sono riposte molte speranze per la creazione di un valido strumento di Self-Help . In quattro anni dovrebbe essere stato perfezionato ma i test inizieranno già dal prossimo mese.
Marco Valerio Principato