Un logo che colora un contenitore vuoto: così si presenta ora la pagina web di NebuAd , fornitore statunitense di servizi di behavioral advertising. Le autorità si sono scagliate contro l’invasività di questo tipo di servizi, i provider hanno perso interesse, il giro di affari si è affievolito fino a spegnersi.
NebuAd si proponeva come un mediatore tra provider e inserzionisti: comprava utenti dagli ISP , acquistava la possibilità di monitorare le abitudini online dei cittadini della rete. Informazioni che analizzava e vendeva ad inserzionisti interessati a proporre alle platee dei netizen annunci quanto più aderenti ai bisogni e agli interessi di ciascuno. NebuAd si proponeva di tracciare clic e scandagliare sessioni di navigazione, ma le prime sperimentazioni si sono invischiate nelle critiche e nelle perplessità: i provider proponevano l’adesione a NebuAd come un semplice strumento per migliorare l’esperienza di navigazione, il servizio di behavioral adverising si era però scontrato con le autorità. I provider avevano progressivamente rinunciato alla possibilità di spremere i propri utenti, si erano verificate le prime defezioni nel team di NebuAd.
NebuAd non aveva convinto il Congresso: le condizioni di utilizzo non erano spiegate con sufficiente chiarezza, ai cittadini della rete non veniva data la possibilità scegliere in maniera consapevole se aderire o meno al servizio. Non aveva convinto nemmeno un manipolo di cittadini statunitensi, impegnati in una class action per vedersi riconoscere il diritto alla riservatezza e al consenso informato. I provider, coinvolti nel processo, avevano tradito : avevano dichiarato la propria estraneità alle pratiche di tracciamento, avevano assicurato di essere partecipanti passivi delle operazione del servizio di behavioral advertising.
Nonostante la pubblicità comportamentale sia un servizio che non sembra far paura alla metà dei cittadini statunitensi, le autorità si erano mobilitate per regolamentare e contenere le pratiche di deep packet inspection.
Ma ora NebuAd si dichiara fuori dai giochi , sommersa dai debiti. L’azienda lo ha comunicato al tribunale incaricato di dirimere il contenzioso che la coinvolge. I creditori saranno risarciti, le operazioni saranno dismesse. NebuAd non costituirà più una minaccia. Perlomeno negli Stati Uniti.
NebuAd, spiega NODPI , avrebbe trasferito le proprie operazioni nel Regno Unito , dove aveva aperto una filiale quando ancora il business era promettente: ora si presenterebbe sotto il nome di Insight Ready .
Nel Regno Unito NebuAd potrebbe trovare terreno più fertile, provider pià collaborativi e regolamentazioni meno rigide: a dimostrarlo, l’evolvere dell’ affaire Phorm . Il servizio, analogo a NebuAd, aveva avviato delle sperimenztazioni fin dal 2006 tenendo completamente all’oscuro i cittadini della rete coinvolti. Le autorità non avevano battuto ciglio: se le attività di deep packet inspection vengono condotte concedendo ai netizen la possibilità di svincolarsi, sarebbero pienamente legali . Solo la procedura di infrazione avviata dall’Europa potrebbe increspare le acque nell’Isola, solo il fatto che le autorità UE considerino intercettazione il behavioral advertising potrebbe ostacolare dal punto di vista legislativo l’attività di Phorm. E quella di una eventuale reincarnazione di NebuAd: il governo del Regno Unito continua a ritenere che le leggi a tutela della privacy possano disinnescare tutte le minacce tese dai servizi di behavioral advertising.
Gaia Bottà