Il disegno di legge bipartisan in materia di privacy e direct marketing, presentato il 26 maggio 2009 alla Camera dei Deputati dall’On. Della Vedova (PDL) e dall’On. Gozi (PD) costituisce il degno epilogo di una brutta vicenda iniziata lo scorso febbraio allorquando, in sede di conversione del decreto legge c.d. “milleproroghe”, si introdusse nel nostro Ordinamento una disposizione attraverso la quale si autorizzava la prosecuzione, sino al 31 dicembre 2009, di tutti i trattamenti aventi ad oggetto dati personali contenuti nelle banche dati costituite sulla base di elenchi telefonici pubblici formati prima del 1º agosto 2005 e ciò in deroga a quanto previsto dal Codice Privacy. Si trattò di un’iniziativa legislativa difficilmente condivisibile nel merito e nel metodo perché si perpetuava ex lege un illecito e lo si faceva al fine dichiarato di superare l’orientamento espresso dal Garante per la protezione dei dati personali in una lunga serie di proprie decisioni a tutela di utenti e consumatori.
Il Garante per la protezione dei dati personali, dal canto suo, non rimase a guardare e con un provvedimento del marzo del 2009 propose un’interpretazione restrittiva della norma volta a scongiurare il rischio che la proroga venisse utilizzata dagli operatori per la costituzione di nuove banche dati degli utenti da sfruttare poi, per finalità di marketing, anche successivamente alla scadenza del termine del 31 dicembre 2009. In tale contesto – che già di per sé aveva i toni dello scontro istituzionale ed il sapore amaro di norme che tutelano degli interessi economici a danno dei diritti fondamentali di molti – si inserisce il nuovo DDL bipartisan attraverso il quale, nel nome del direct marketing, si vorrebbe stabilire che tocca ai cittadini intestatari di utenze telefoniche manifestare la propria volontà a non vedere il proprio numero inserito negli elenchi pubblici e, soprattutto, utilizzato per finalità promozionali.
In difetto di tale manifestazione di volontà negativa, il consenso dell’utente a veder pubblicato il proprio numero negli elenchi telefonici – come accadeva già molto tempo fa – ed a vederlo utilizzare per telefonate promozionali dovrà ritenersi, non è chiaro su quali basi, presunto. Il DDL mira, dunque, in buona sostanza, ad introdurre nel nostro ordinamento – limitatamente peraltro al solo utilizzo dei numeri telefonici per finalità di marketing – il principio dell’opt-out, ovvero un principio diametralmente opposto a quello dell’opt-in, sul quale è attualmente basata l’intera disciplina in materia di privacy. Nel caso dell’opt-it salvo le eccezioni espressamente contemplate nel codice privacy nessun trattamento di dati personali deve ritenersi legittimo in assenza del preventivo consenso dell’interessato.
Nessuno, naturalmente, intende contestare la libertà del legislatore di tornare sui propri passi e rivedere – a distanza di anni – scelte e decisioni in precedenza assunte. In questo caso, tuttavia, si fa fatica a comprendere l’urgenza e la pervicacia con la quale il legislatore sembra aver deciso di farsi carico della tutela degli interessi di un’industria di settore – quella del direct marketing – sebbene nella piena consapevolezza che ciò comporti un’importante compressione del livello di tutela garantito ad utenti e consumatori così come, a tacer d’altro, testimoniato dalla determinazione con la quale il Garante per la tutela dei dati personali si è sin qui sforzato di richiamare l’attenzione delle istituzioni, dello stesso legislatore e degli operatori sull’esigenza che ogni attività di telemarketing venga preceduta dall’acquisizione del consenso libero e consapevole da parte degli interessati.
Si può seriamente sostenere – come sembra farsi nella relazione di accompagnamento al disegno di legge – che l’iniziativa legislativa corrisponde all’interesse degli utenti e consumatori ad una tutela efficace? Come può presumersi il consenso di un consumatore a ricevere, a casa propria, una telefonata con la quale gli si propone l’acquisto di un prodotto o di un servizio o, piuttosto, la conclusione di un contratto di abbonamento?
Non sarebbe più logico – come accade oggi – presumere il contrario?
Sin qui, talune prime perplessità sulla nuova iniziativa legislativa che tornerà a far squillare senza sosta i telefoni degli italiani. Si tratta, tuttavia, di considerazioni evidentemente opinabili in quanto per ciascuna di esse gli estensori del disegno di legge potrebbero – lo si riconosce – fornire argomentazioni parimenti convincenti ma di segno contrario come da sempre avviene nell’ambito del confronto tra i due contrapposti approcci alla tutela della privacy: l’opt-in e l’opt-out.
Meno opinabili, a mio avviso, sono taluni dubbi sollevati dall’articolato nel quale è stata tradotta la volontà del legislatore di agevolare il compito alle società di direct marketing.
Cominciamo dal principio.
Innanzitutto, attraverso la modifica del comma 2 dell’art. 129 del Codice privacy gli estensori del disegno di legge sembrano aver superato le loro stesse intenzioni: in assenza di espressa manifestazione in senso contrario dell’utente i numeri degli utenti confluiranno automaticamente negli elenchi telefonici pubblici degli abbonati e potranno dunque essere accessibili da chiunque per scopi e finalità anche ulteriori rispetto al “solo” direct marketing. Si tratta di una disposizione della quale, francamente, non si avvertiva proprio la necessità.
Una cosa è, infatti, disciplinare in modo nuovo attraverso il meccanismo dell’opt-out il trattamento dei dati contenuti negli elenchi telefonici per finalità di marketing e, altra cosa, è ridisegnare completamente la dinamica di formazione degli elenchi telefonici all’evidente scopo di far sì che in tali database confluisca il più alto quantitativo possibile di dati personali.
Si può davvero essere sicuri sino a presumerlo ex lege che la volontà di ogni abbonato sia quella di veder pubblicato il proprio numero telefonico in elenco?
Ma c’è di più.
L’assetto della disciplina della materia proposto nel DDL non è originale ma è attinto a esperienze straniere quali quella statunitense e quella francese. Gli estensori del disegno di legge, tuttavia, hanno “copiato” male o, almeno, non hanno tenuto in alcun conto i problemi e le difficoltà attuative emerse in tali esperienze.
Non si spiega diversamente come si sia potuto ipotizzare – lo si fa al comma 2 dell’art. 1 del DDL – che la manifestazione della volontà del cittadino di non essere disturbato da telefonate promozionali abbia un’efficacia di soli 24 mesi, trascorsi i quali, se non viene rinnovata, torna a presumersi la volontà di ricevere telefonate promozionali. La disciplina statunitense , infatti, prevedeva originariamente un’efficacia di 5 anni ma tale limite – sulla base dell’esperienza accumulata nei primi anni di applicazione della norma e della scarsa propensione dei consumatori a porre in essere le formalità necessarie all’iscrizione nel registro negativo – è stato successivamente eliminato rendendo perpetua l’efficacia della manifestazione di volontà dell’abbonato a non essere disturbato. Allo stesso modo, l’ esperienza francese – peraltro richiamata nella relazione di accompagnamento al disegno di legge – avrebbe dovuto suggerire al legislatore di non accordare agli operatori del settore un mese intero per prendere atto dell’eventuale manifestazione da parte degli utenti della volontà di non essere ulteriormente disturbati. In Francia infatti la CNIL – nel prendere, peraltro, atto della sostanziale incapacità degli operatori di allineare i propri database al “registro negativo” e nel manifestare dubbi circa la bontà di tale soluzione – ritiene inammissibile un ritardo di una settimana da parte di un operatore nell’adeguarsi alla richiesta di utenti e consumatori.
Difficile in tale contesto salutare con favore la recente iniziativa legislativa bipartisan e convenire con gli estensori del disegno di legge sulla circostanza che si tratti di una soluzione equamente rispettosa dei diritti degli utenti e dei consumatori.
Un’attenta lettura del DDL, infatti, dice tutt’altro, ovvero che si tratta di una – non sta a me dire se opportuna o inopportuna – misura di sostegno ad un comparto industriale al quale, evidentemente, le attuali regole in materia di tutela della privacy vanno tanto strette da risultare intollerabili. Nulla di male in un intervento legislativo di semplificazione ma, francamente, credo che l’importante sia chiamare sempre le cose con il loro nome ed evitare di contrabbandare iniziative legislative per ciò che non sono…
Bisognerà ricordarsene la prossima volta, quando il telefono squillerà – magari in campagna elettorale – e dall’altra parte risponderà qualcuno che voglia chiederci un voto per questo o quel candidato.
Guido Scorza
www.guidoscorza.it