Hanno violato la net neutrality rallentando e bloccando le applicazioni di file sharing usate dai loro utenti-consumatori, sono colpevoli ma negano di aver fatto alcunché. Sono i provider statunitensi finita sulla graticola delle class action per il throttling del traffico di rete, baciati da alterne fortune ma parimenti convinti del fatto che mettersi d’accordo ora è subito sia la soluzione migliore , per gli utenti così come per il business.
Nega “vigorosamente” ogni addebito di filtraggio del P2P il provider della Virginia RCN , trascinato davanti a un tribunale nel caso “Sabrina Chin v. RCN Corporation” per avere “rallentato o bloccato” il traffico broadband dei suoi utenti senza che questi ne sapessero alcunché. RCN nega ma intanto annuncia di essersi accordato con l’accusa per la conclusione della class action ed è in attesa del parere dei giudici sull’accordo.
RCN nega ma intanto accetta di “cessare e desistere” rispetto a qualsiasi pratica di “network management” messa in atto per un periodo di 18 mesi, in riparazione della quale sarà probabilmente costretta a spedire qualche spicciolo a tutti gli utenti interessati dal fatto.
Anche per Comcast, che parimenti a RCN ha filtrato il traffico del P2P senza alcun avviso ai suoi utenti ma l’ha infine spuntata sulla volontà della Federal Communications Commission priva di autorità specifica in materia , l’accordo extra-giudiziario sembra essere la migliore possibilità di rivalsa che hanno a disposizione gli utenti .
O perlomeno questa è l’ opinione espressa da un legale coinvolto nella stesura dell’accordo, che ricordando la decisione della Corte sulla mancanza di autorità della FCC evidenzia le opzioni a disposizione dei consumatori “filtrati” e conclude: anche se Comcast pagherà appena 16 dollari (circa) di multa per utente, non chiamarsi fuori e “firmare per l’accettazione di questo accordo è il modo migliore per punire Comcast per il suo comportamento”. E per pagare la quota che spetta agli avvocati interessatisi del caso, naturalmente.
Alfonso Maruccia