Netflix trae profitto dai propri abbonati paganti: poco importa che risiedano entro i confini degli stati in cui il servizio è operativo, poco importa che scavalchino i confini imposti dal business della distribuzione cinematografica per fruire dei prodotti che offre. La pressione dei detentori dei diritti, però, è evidentemente diventata troppo forte perché Netflix continui a ignorare i frontalieri: le condizioni d’uso erano già state aggiornate allo scoccare del 2015, e ora un rappresentante del servizio ha riferito che la piattaforma è ufficialmente contraria agli sconfinamenti a mezzo VPN. Potrebbe sbaragliarli con la tecnologia, o renderli superflui.
Il servizio di streaming lo specificava già a chiare lettere con l’entrata in vigore del contratto aggiornato: “Netflix userà delle tecnologie per verificare la vostra localizzazione geografica”, e si riserva il diritto di “bloccare o limitare il vostro uso del servizio, senza rimborsi o avvertimenti, qualora vi lo utilizziate o sospettiamo lo utilizziate in violazione delle condizioni d’uso”, che autorizzano la fruizione “solo nelle aree geografiche in cui il servizio è offerto e ha ottenuto le licenze per film e show televisivi”. I detentori dei diritti, che da tempo rivendicano la collaborazione di Netflix e servizi analoghi al fine di tutelare le dinamiche che ancora sorreggono il mercato della distribuzione dei contenuti, hanno ottenuto che la piattaforma prendesse una posizione: “posso dire solo che Netflix è contraria all’uso di VPN”, ha riferito un rappresentante del servizio all’utente di Reddit che lo ha consultato nei giorni scorsi in merito all’aggiornamento delle condizioni d’uso.
Ma se le tecnologie con cui la piattaforma potrebbe agire sembrano essersi già manifestate con sporadici interventi, il senso della dichiarazione del portavoce di Netflix potrebbe non essere da interpretare in senso repressivo: proprio nei giorni scorsi il CEO di Netflix Reed Hasting, in occasione del lancio australiano, ha dichiarato che l’uso delle VPN è trascurabile e innocuo rispetto alla pirateria, e che il problema ha già una soluzione, quella di “operare su scala globale e mettere a disposizione tutti i contenuti contemporaneamente in tutto il mondo”.
Ma tra il problema e la soluzione si frappone l’industria cinematografica, e in particolare i distributori, che osteggiano le VPN non in quanto tali, ma perché capaci di attentare allo status quo e alla possibilità di monetizzare i contenuti in tempi diversi su diversi mercati, così da massimizzare gli introiti. E ci sono le media company che si sono garantite le esclusive acquistando i diritti per mettere i contenuti a disposizione degli utenti nei tempi e nei modi dettati dal mercato.
Proprio a questo proposito, proprio citando fra gli esempi l’offerta di Netflix, così diversa per varietà fra Regno Unito e Belgio, l’ Europa nei giorni scorsi si è riproposta di indagare sulle dinamiche di mercato che surrettiziamente creano delle frontiere giustificate dalla sola massimizzazione dei profitti dell’industria. Ma lo stesso fronte europeo mostra delle spaccature: se da una parte il vicepresidente della Commissione Europea con competenze al Mercato Unico Digitale Andrus Ansip ha dichiarato di “odiare le pratiche di geoblocking” in quanto “antiquate” e incompatibili con l’idea di un’Europa che compete su un unico mercato, il commissario per il settore Digital Economy and Society Günther Oettinger si è mostrato più cauto, sostenendo la necessità di “proteggere le diversità culturali” e dichiarando di “voler esaminare gli effetti di una tale apertura sull’industria cinematografica”.
Gaia Bottà