Nel 2001, Craig J. Saper, professore all’Università della Florida Centrale, ha descritto il concetto di intimate bureaucracy (intima burocrazia) nell’arte postale, networked art e negli esperimenti di poesia visiva. Con l’idea di intimate bureaucracy , Saper definisce l’appropriazione creativa e la parodia sovversiva degli aspetti più formali, standardizzati e burocratici della nostra vita nella società contemporanea. Per esempio, i mail artisti utilizzavano l’arte postale per creare e diffondere le proprie opere di networking, auto-producendo francobolli, timbri, adesivi, buste e cartoline creative. Anche nel Futurismo ci sono stati esempi di corrispondenza creativa a opera di Giacomo Balla e Francesco Cangiullo, e negli anni Cinquanta, Yves Klein fece circolare il “Blue Stamp” (francobollo blu), mentre alcuni membri di Fluxus, come Ben Vautier, Robert Watts e Mieko Shiomi, crearono esperimenti con timbri, cartoline d’artista e francobolli.
La lista di artisti che hanno lavorato con la burocrazia come opera d’arte include sicuramente Guglielmo Cavellini e J. S. G. Boggs, il primo per la sua enciclopedica e sistematica attività di autostoricizzazione, e il secondo per la serie di dollari autoprodotti, detti anche Boggs bills , esempio dell’utilizzo personalizzato e “intimo” della serialità del mercato. I Boggs bills , in circolazione sin dal 1984 e realmente usati dall’artista come banconote, sono anche uno dei più validi esempi in cui la creazione artistica, lavorando con i temi della riproducibilità formale e della burocrazia, si insinua nel territorio di confine fra legalità e illegalità (non è infatti tardata la risposta del Governo americano che ha intimato a J. S. G. Boggs di sospendere la sua produzione).
È comunque a partire da una decina di anni che artisti impegnati criticamente a lavorare con la rete e la tecnologia si sono confrontati direttamente con il tema della legalità vs. illegalità delle proprie operazioni artistiche, fino a trasformare le stesse battaglie legali in opera d’arte. Nel 2005 l’artista Franca Formenti rifletteva sulla tematica della necessità dell’intervento formale di un avvocato – nel caso specifico, l’esperto di diritto informatico Giovanni Ziccardi – durante la realizzazione del suo video Use Condoms del 2006 ( qui il video), fino a considerare le liberatorie fatte firmare agli intervistati come parte del processo artistico. Il video è infatti una provocazione al mondo dell’arte, della comunicazione, e della politica: sono intervistati diversi personaggi di rilievo su svariate tematiche attuali, ma il fine ultimo è di fatto quello di promuovere (inconsapevolmente) una borsetta realizzata dall’artista con tanto di porta-vibratore. La stessa riflessione sulle pratiche legali come arte si trova nel successivo progetto di intervista alla casa di moda Ferrè, in cui Franca Formenti pubblica in rete il documento dell’intervista, redatta su carta ufficiale con tanto di logo Ferrè, deturnandolo in un’atmosfera erotica e sensuale. La liberatoria firmata dalla casa di moda, come previa accettazione di pubblicazione dell’intervista, diviene quindi parte del processo artistico, ed emblema della pratica creativa sottoforma di azione legale. Pratiche che riguardano anche gran parte della storia dell’arte a partire dal XX secolo. Nel 2004, presso lo spazio NGBK – Neue Gesellschaft für Bildende Kunst di Berlino, Helen Adkins, Kai Bauer e Hans Winkler hanno curato la mostra Legal/ Illegal – Art Beyond Law ( qui il concept). La mostra presentava l’operato di artisti e attivisti le cui opere si collocano in quel non luogo fra attivismo politico, critica strategica della società, legalità e illegalità (ne è seguita una pubblicazione ).
Oggi, con la progressiva commercializzazione degli spazi di networking e di sharing, questo confine di azione si fa ancora più labile e l’intervento delle corporation che attivano battaglie legali contro artisti e attivisti è sempre più frequente. Tanto che nel progetto di mostra “Cease & Desist Art: Yes, This is Illegal!”, ideato da Simona Lodi per il LPM, Live Performance Meeting di Roma dello scorso maggio (visibile in rete qui ) si metteva in luce proprio il discorso della tensione fra legalità e illegalità delle pratiche artistiche di artisti impegnati a lavorare sulla rete. Pratiche e interventi oltre i termini legali e burocratici dettati da aziende, dal mercato o dalle istituzioni.
Cease & Desist è un ordine o una richiesta di sospendere un’attività ( cease ) e di non proseguirla oltre ( desist ) sotto minaccia di azione legale. Come descrive Simona Lodi, “Non si contano più le lettere di Cease & Desist inviate dalle aziende entrate nel mirino di pirati, plagiaristi, hacker e disturbatori che vengono mostrate come trofei nelle mostre, nelle community e divulgate nelle mailing list. (…) Ottenere una lettera Cease & Desist è diventata una frontiera estetica da raggiungere per rivendicare la libertà di creare nell’Era delle Corporation”. Nella storia della net art abbondano esempi di conflitti legali fra artisti-attivisti e aziende: il Digital Hijack del motore di ricerca Altavista per la liberazione di Kevin Mitnick (1996) attuato dal gruppo Etoy; la Toywar (1999) del medesimo gruppo iniziata dalla corporation eToys Inc per via del dominio web www.etoy.com , registrato dal gruppo dei net artisti; il conflitto degli 0100101110101101.ORG nel 1998 con il Vaticano per il dominio Vaticano.org ( qui la storia) e nel 2003 con la Nike per il progetto Nike Ground . Per non parlare delle dispute legali dei gruppi ®TMark per il progetto GWBush.com (1998, online qui ) e degli Yes Men per la falsa dichiarazione rilasciata alla BBC che ha messo ai ferri corti la corporation Dow Chemical, rimasta nella storia della net art come BBC Bhopal Hoax (2004).
Ma è negli ultimi anni con l’emergere del Web 2.0 che le lettere di C&D sono diventate parte del processo artistico. Lettere ricevute dagli artisti che provano ad utilizzare le piattaforme commerciali in rete secondo modalità disruptive e non previste dai termini delle aziende che le controllano, pur rimanendo completamente nei confini della legalità. Battaglie legali che hanno coinvolto diversi progetti artistici nel Web 2.0, come dimostrano Seppukoo dei Les Liens Invisibile e Web 2.0 Suicide Machine del collettivo Moddr.net, di cui ho già scritto nello scorso articolo . Ma la lista dei C&D è lunga, e lo si legge nel progetto di mostra di Simona Lodi, che fa luce su una situazione al limite del paradosso. Un paradosso perpetuato (ironicamente?) dal collettivo Moddr.net, inviando attraverso il proprio rappresentante legale una lettera di Cease & Desist alla stessa curatrice per aver inserito nella mostra il progetto Web 2.0 Suicide Machine senza aver chiesto il permesso! Una provocazione nella provocazione, che per fortuna ci ricorda la componente ironica di molti fake e interventi artistici, se visti come risposta creativa ai tranelli burocratici e agli automatismi legali che fanno ormai parte del nostro presente.
Tatiana Bazzichelli
www.tatianabazzichelli.com