La semplice visione di materiale pedopornografico sul browser non costituisce reato. La decisione arriva dagli Stati Uniti, precisamente da New York, dove il giudice Carmen Ciparik ha assolto , nel processo d’appello, James D. Kent, professore associato presso il Marist College di Poughkeepsie, cittadina non lontana dalla Grande Mela, dall’accusa di possesso di immagini ritraenti minori in pose e atti sessuali.
Il fatto risale al 2007 quando Kent, preoccupato perché da qualche giorno il suo computer si avviava molto più lentamente del previsto, lo aveva portato da un giovane specialista in informatica per effettuare una scansione antivirus e un ripristino del sistema. L’analisi aveva poi rilevato la presenza, nella cache del browser web, di materiale pedopornografico. Immediata la segnalazione alle autorità, che avevano tratto in arresto il professore, il quale ha sempre sostenuto che qualcun altro aveva usato il suo computer per visualizzare le immagini.
La condanna in primo grado a tre anni di reclusione era arrivata nel 2009.
La Corte di primo grado aveva respinto uno dei due capi di accusa, quello di incoraggiamento della prostituzione minorile, confermando però gli altri, relativi alle migliaia di immagini di pornografia infantile ritrovate nella cache del computer del docente.
Ora il giudice Ciparik ha completamente ribaltato la sentenza di primo grado, sostenendo che “la semplice visualizzazione di immagini di pornografia infantile su Internet, se non ci sono altre prove, non costituisce possesso ai sensi della nostra legge penale. Per dimostrare che l’imputato ha esercitato dominio e controllo sulle immagini presenti nel computer bisogna aver rilevato un atto fisico come la stampa, il salvataggio, il download. Altrimenti si estenderebbe la normativa penale ad un comportamento – la semplice visione – che il nostro legislatore non ha ritenuto criminale”. In altre parole, occorre non solo aver semplicemente “visto” quelle immagini, ma anche averle salvate fisicamente sul proprio hard disk.
Nathan Z. Dershowitz, legale di Kent, ha dichiarato che il vero problema di questo caso è “la legislazione che non è al passo con la tecnologia. Queste norme non sono incomprensibili, ma neanche esattamente chiare”.
Questa non è la prima sentenza orientata in tal senso: una decisione analoga era stata già presa in Pennsylvania nel febbraio 2006 quando, a causa delle lacune legislative in merito alle nuove tecnologie, un 26enne fu assolto dalla medesima accusa perché “non si configurava il possesso fisico e il pieno controllo delle immagini”. Nel 2008, un caso simile si è verificato anche in Italia .
Cristiano Vaccarella