C’è un recente intervento apparso sulle colonne online del quotidiano britannico The Guardian . Si intitola il patetico paywall di Rupert Murdoch , scritto da Jeff Jarvis, professore associato di giornalismo alla City University di New York. Un articolo infuocato – visibile anche sul blog ufficiale di Jarvis – che ha puntato il dito contro il meccanismo di pedaggio per le news in Rete messo in piedi dal tycoon di origini australiane.
“Rupert Murdoch si è arreso. È stato sconfitto dal futuro”. Così attacca l’articolo di Jarvis, che è nato in risposta al recente annuncio da parte del colosso NewsCorp, pronto a partire da giugno a far pagare i lettori online per le edizioni digitali del quotidiano britannico The Times e della sua versione domenicale The Sunday Times . Come sottolineato, una sterlina (poco più di un euro) per un accesso illimitato di una giornata. O due sterline per un’intera settimana.
Decisione che non si era tuttavia rivelata inaspettata. Le strategie di Murdoch si erano già concretizzate con altre edizioni web dei quotidiani orbitanti intorno alla galassia mediatica NewsCorp. Come quelle del Financial Times e del Wall Street Journal . E infatti l’articolo di Jarvis ha puntato il dito contro l’intero sistema di paywall costruito obolo su obolo dal magnate australiano.
“In questo modo – ha scritto il professore – Murdoch ha dimostrato di non avere alcuna nuova idea sui futuri meccanismi pubblicitari. Oltre a non avere idee su come costruire dei rapporti più profondi e di valore con i suoi lettori, che verranno sostanzialmente mandati via se non disposti a pagare. E infine non ha alcuna idea su come scoprire certi aspetti legati al rendimento di Internet, nella creazione di contenuti, nel marketing, nella distribuzione agli utenti”.
Jarvis ha quindi specificato di aver lavorato precedentemente per Murdoch, all’interno della rivista statunitense TV Guide . E soprattutto di averlo rispettato per il suo coraggio, che ora si sarebbe decisamente volatilizzato. Quello che rimarrà al tycoon , secondo il professore, saranno solo le briciole di un impero mediatico un tempo coraggioso. Come conseguenza diretta di una strategia molto simile alla mungitura estrema di una vacca da soldi , una sterlina alla volta.
Parole forti, che non sembrano essere particolarmente piaciute a Tom Foremski, columnist del blog ZDNet . Secondo Foremski , costruire un paywall digitale non escluderebbe affatto l’implementazione di messaggi pubblicitari o comunque di nuove idee strategiche. Nell’articolo si sono spese parole d’elogio nei confronti del coraggio di Murdoch: “Ha avuto il fegato di sperimentare con nuovi modelli di business, rischiando milioni di dollari d’entrate”.
Dichiarazioni molto simili a quelle fatte dal direttore di The Times James Harding, che aveva parlato di un’operazione molto rischiosa, ma essenziale per evitare che lo stesso futuro del giornalismo vada in fumo. Non certo di quest’avviso Paul Carr di TechCrunch , che ha ammesso senza remore di essersi sbagliato sul conto di Murdoch: il tycoon avrebbe completamente perso il lume della ragione. “Per The Times sarà la fine – si legge nell’articolo – Questo paywall ammazzerà uno dei quotidiani più rispettati del mondo, oltre che un vero e proprio patrimonio nazionale britannico. Nonostante si parli di cifre relativamente modeste per l’abbonamento, l’esperienza ha dimostrato più e più volte che mosse come queste portino semplicemente ad una forte emorragia di lettori”.
Ma Murdoch non sembra particolarmente preoccupato di questa potenziale diaspora di netizen. Un paywall sarebbe necessario anche per contrastare quei cosiddetti “ladri di contenuti” del web come blog, motori di ricerca e aggregatori di news. La strategia di NewsCorp risiederebbe dunque nell’affidare ad un diffuso meccanismo di pedaggio il delicato compito di salvare il destino del giornalismo online ?
Già per quello cartaceo si è parlato spesso di crisi di lettori e di inserzionisti meno disposti all’investimento. Perché dunque replicare sul web un modello in difficoltà? A giudicare dall’aria che circola all’interno della redazione del New York Times , sembra che ci sia una certa confusione nel distribuire stipendi e produttività. Sarebbero stati 12 i milioni di dollari giunti nel 2009 nelle tasche dei top executive alla guida del quotidiano statunitense.
Mentre cioè il chairman Arthur Sulzberger Jr. vedeva raddoppiarsi lo stipendio di circa 3 milioni di dollari, circa 100 dipendenti perdevano il posto a causa di tagli al bilancio del quotidiano. Una protesta è scattata online, all’interno di una petizione pubblicata sul sito del Boston Globe , di proprietà dello stesso NYT. “Abbiamo visto i nostri colleghi liberare le scrivanie – ha riferito una fonte rimasta anonima – e lui guadagna sei milioni di dollari? È uno scherzo?”.
Mauro Vecchio