Non solo i nativi digitali hanno problemi di competenze in relazione al mondo del digitale, ma i numeri dicono altresì che sono circondati da un ecosistema informativo non dei più sani. L’analisi retrospettiva potrebbe trovare mille motivazioni a tutto ciò, a partire dal fallimento nella creazione di un mondo editoriale in grado di fare da contenitore e da garante ai più alti principi del giornalismo. Rimane il fatto che la fotografia attuale della realtà indichi una situazione complessa nella quale i più giovani si trovano immersi in un bombardamento di informazioni nel quale tutto è complesso: è difficile discernere quel che è importante da quel che non lo è e, prima ancora, è complesso distinguere quel che è vero da quello che è falso.
Giovani e news, un rapporto difficile
Una ricerca condotta negli USA dal Project Information Literacy ha messo in evidenza i singoli tasselli di questa dinamica attraverso una complessa disamina di quello che è oggi il rapporto tra gli studenti e le news.
Accesso multimodale
La prima evidenza che emerge è nel fatto che la fruizione delle news da parte dei più giovani sia oggi multimodale. Non ci si affida dunque ad un solo strumento, ma si cerca una pluralità di voci e di canali di accesso, sfruttando appieno la grande quantità di fonti oggi disponibile e attingendo a piene mani da tutti quelli che sono i punti di approvvigionamento a portata di mano. Amici e conoscenti, professori, social media, fino a (con minori percentuali) giornali online e news feed. Dai numeri emerge tuttavia una dinamica che già dovrebbe portare a riflettere: se si attinge alle news passando da altre persone (sia personalmente che tramite social media), significa che si attinge a fonti già “inquinate”, quantomeno deviate da dinamiche estranee a quelle della scelta editoriale. L’editoria perde dunque lo scettro, poiché una vasta fascia di fruitori di news vi accede attraverso percorsi mediati che modificano radicalmente quello che un tempo era l’impatto diretto tra il medium informativo e il fruitore finale.
Una scelta impossibile
La seconda evidenza è la difficoltà di scelta all’interno di uno stillicidio di informazioni continuo e (alla luce di quanto indicato a proposito delle modalità di accesso) indifferenziato. In questo contesto i più giovani (tra i più assetati di news) si trovano immersi in una proposta continua di informazioni che arrivano all’occhio senza elementi di differenziazione, lasciando al lettore l’onere complesso della scelta. In questa situazione la scelta è solitamente duplice: o ci si affida ad aggregatori che svolgono questa funzione di discernimento, affidandovi così la propria esperienza informativa, oppure si effettuano scelte puntuali sulla base dei propri interessi privati.
Ci si costruisce così un stretta selezione basata su sé stessi, cosa che da una parte può rivelarsi molto efficace, ma dall’altra esclude dalla propria portata notizie collaterali che potrebbero ampliare le proprie conoscenze, la propria cultura ed i propri stessi interessi. Insomma: dalla ricchezza sterminata delle informazioni disponibili, se ne esce con un contesto in realtà più arido rispetto al passato. E dove ad essere premiate sono notizie fortemente incentrate sulle proprie necessità (condizioni meteo, situazione del traffico) o sulle proprie opinioni (politica). Nel primo caso, è mero passaggio automatico di informazioni strutturate; nel secondo caso, attraverso processi polarizzanti che spesso costruiscono più contrasti e propaganda che non un reale contesto informativo.
Il vero e il falso
Permane una accezione ed un rispetto alti nei confronti del giornalismo, ma questo ideale si scontra con la dura realtà di un ecosistema informativo del quale non ci si può più fidare. Troppo e troppo complesse da identificare sono le fake news o il giornalismo partigiano, elementi che rendono pertanto meno affidabili le informazioni assorbite e meno stretto il legame con il lettore. Insomma: non ci si fida più perché i fatti dimostrano che non ci si può fidare. Ciò è vero a maggior ragione se la fruizione delle notizie passa per una intermediazione umana (ad esempio i social media), dove ad emergere è più a capacità di coinvolgimento emotivo che non l’equilibrio e la logica dei ragionamenti. La selezione delle news passa pertanto per processi che inquinano il risultato finale e di questo le fasce più giovani sembrano pienamente consapevoli. Ma inermi. E quindi sfiduciate.
Penso, dunque condivido
Condividere una notizia sui social media è parte di un sentimento di appartenenza, poiché proietta il singolo all’interno di un illusorio movimento generale di supporto di una causa o sempliecmente per far emergere una notizia che si ritiene importante. La fruizione della notizia è in questi casi autorefenziale, trasformando la notizia da fine informativo a strumento di posizionamento nell’opinione pubblica. Ciò non fa altro che accelerare il processo di traslazione delle news verso il mondo dei social media, poiché è questo il luogo in cui ci si relazione, ove ci si definisce per posizionamento, poiché è questo il luogo ove la condivisione rappresenta una specifica funzione grammaticale del nuovo linguaggio.
Il dilemma delle fonti
Gli studenti spesso utilizzano fonti differenti in ambito accademico e in ambito personale, perché nel primo caso è percepito un bisogno più intenso di verità e affidabilità. I criteri sono confusi, ma la ricerca dell’autorevolezza evidenzia tutta la difficoltà esistente oggi nel riconoscerla all’interno di un ecosistema informativo sempre più orizzontale, sempre meno basato sulla “firma” autoriale e sempre più mediato da strumenti di raccolta, aggregazione e condivisione.
Le news nell’era della post-verità
L’era della post-verità lascia pertanto emergere con forza tutte le proprie contraddizioni. La quantità delle news non ha abbassato la qualità, anzi, ma l’ha terribilmente annacquata. Questo rende più complesso raggiungere l’essenza delle news, percepirne l’importanza, distinguere i fatti e valutarne la veridicità. L’ecosistema in sé (per motivi che vanno dalla tecnologia alla sostenibilità economica dell’editoria, fino agli scontri con i big dei social media, passando per un’evoluzione culturale che ha corrotto le basi del giornalismo premiando le sporche dinamiche del click-baiting) motivo di quanto sta accadendo.
I più giovani, ossia i più recettivi e i più famelici di notizie, rischiano di farne le spese poiché privi dei necessari strumenti di controllo e di discernimento. La situazione è del resto completamente nuova: nel momento in cui la produzione di news è fuoriuscita dai meccanismi della carta, tutto è stato cambiato e una intera filiera è in via di ridefinizione. Le distorsioni sono tante e tali da portare inevitabilmente conseguenze sociali che potranno essere pesate con certezza soltanto col senno del poi.
Il Project Information Literacy si limita al momento a consigliare direzioni nelle quali immaginare interventi riparatori:
- trasmettere agli studenti le competenze necessarie per distinguere verità e autorevolezza, così da potersi abbeverare al mondo delle news con maggior consapevolezza;
- portare le notizie in classe, affinché importanza e verità possano emergere da una discussione di gruppo che aiuti alla creazione della giusta forma mentis;
- l’editoria riporti il valore del contesto all’interno delle news: i link possono essere importanti strumenti in tal senso, poiché consentono di legare i fatti al loro orizzonte, radicando gli avvenimenti in specifici punto spaziotemporali e permettendo di ricostruire l’accaduto per poter verificare il tutto: è questione educativa, ma anche un modo per disegnare un ecosistema informativo realmente integrato e non fatto di elementi puntiformi che galleggiano indifferenziati e scollegati in un immenso mare monocolore;
- il giornalismo ha il dovere di sperimentare nuove forme di storytelling alla ricerca del coinvolgimento dei più giovani, cercando il modo migliore per tornare a coinvolgerli: solo l’immobilismo della forma li allontanerà irrimediabilmente, regalandoli con sempre maggior radicamento all’abbeveratoio dei social media;
- i social media, odierni protagonisti della fruizione dei media (soprattutto tra i più giovani) devono assumersi una responsabilità sociale su questo tema: se non sacrificano la loro sbilanciata propensione alla ricerca del coinvolgimento-a-tutti-i-costi, in favore della creazione di un ecosistema news più sano, devono mettere in conto di aver lanciato un boomerang destinato a tornare con forza e con conseguenze non facilmente prevedibili. Chi disegna gli algoritmi non può esimersi da questa considerazione, premiando l’autorevolezza delle fonti e bocciando chi produce disinformazione (soprattutto se con dolo interessato). Ed è probabilmente questo il problema più forte ed urgente in questo momento.