Newsguard mette all’indice Google, contestando al gruppo un utilizzo di un approccio ondivago nell’imporre restrizioni alla disinformazione russa. Secondo una nuova analisi Newsguard (che da tempo monitora le principali fondi di informazione online per stabilire principi di affidabilità e benchmark di attendibilità), infatti, Google starebbe ancora consentendo la monetizzazione di molti siti il cui profilo sarebbe quantomeno discutibile.
Dopo che le forze del presidente russo Vladimir Putin hanno invaso l’Ucraina il 24 febbraio, diverse piattaforme tecnologiche, come Google, si sono affrettate ad annunciare l’adozione di misure apparentemente radicali al fine di tagliare le entrate pubblicitarie della macchina della disinformazione del Cremlino sui loro spazi. Tuttavia, una nuova analisi di NewsGuard mette in luce che, nonostante queste dichiarazioni, decine di siti web che pubblicano disinformazione sulla guerra in Ucraina continuano a ricevere entrate pubblicitarie da Google o da altre aziende che gestiscono pubblicità
Spiega ancora il report, perimetrando l’accusa nei confronti di Mountain View:
Tra questi ci sono siti web che nascondono le loro fonti di finanziamento e controllo, registrati in paesi come Cipro e di proprietà di soci in affari di Putin. Tali siti fanno parte del più ampio ecosistema di disinformazione russa, in cui le bufale hanno spesso origine sui siti di proprietà del Cremlino e vengono poi diffuse da una rete di siti che le rilanciano.
Newsguard: ecco la propaganda russa
Sarebbero ben 116 i brand analizzati e pienamente coinvolti in disinformazione sulla guerra in Ucraina. Tra questi vi sarebbero “fonti ufficiali dei media statali russi, siti web anonimi che avevano già pubblicato narrazioni di disinformazione filo-russa in passato, fondazioni e siti web di ricerca con finanziamenti non trasparenti, alcuni dei quali potrebbero avere legami non dichiarati con il governo russo“. Un’ampia massa di materiale e di testate, insomma, i cui reportage dall’Ucraina avrebbero una chiara impronta non solo filo-russa, ma tale da distorcere la realtà dei campi di battaglia per dipingerne una edulcorata per finalità vicine a quelle della propaganda putiniana.
Di qui l’accusa a Google Ads:
Nel corso della sua analisi NewsGuard ha rilevato che più di una ventina di siti che diffondono disinformazione filo-russa ospitavano ancora annunci pubblicitari, traendo dunque profitti dalla pubblicità. Circa i due terzi di questi annunci utilizzava la principale piattaforma pubblicitaria, Google. La pubblicità programmatica viene distribuita tramite algoritmi, il che significa che gli inserzionisti che pubblicano pubblicità su questi siti non intendono sostenerli, lo fanno involontariamente. Probabilmente, i loro amministratori delegati e direttori marketing non sono neppure a conoscenza del fatto che i loro annunci stanno sovvenzionando la propaganda del Cremlino.
Non basta la rimozione di RT e Sputnik in allineamento a quanto comunemente portato avanti in Occidente, insomma: sarebbero molte le fonti di disinformazione da cui attingono tipicamente i social network nel perpetrare il verbo. Se a tutto ciò si aggiunge il fatto che Google Ads ne consente anche la monetizzazione, allora i dubbi sollevati nei confronti di Google si fanno più circostanziati.
Pravda
Tra i siti che Newsguard cita come esempio lampante di monetizzazione della propaganda russa è il sito Pravda.ru:
Tra questi siti di disinformazione c’è Pravda.ru, lanciato nel 1912 come giornale ufficiale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Durante la Guerra Fredda, la Pravda dovette registrarsi come agente straniero negli Stati Uniti ai sensi del Foreign Agents Registration Act. Il quotidiano cartaceo Pravda ha continuato poi a essere pubblicato fino al crollo dell’Unione Sovietica nel 1991; in seguito, è stato rilanciato come fonte di notizie digitali. Oggi, Pravda.ru è gestito da Vadim Gorshenin, che si è definito sostenitore di Putin e che in precedenza aveva lavorato per il quotidiano cartaceo Pravda. Nonostante il nome del sito (“Pravda” significa “verità” in russo), la scheda informativa di NewsGuard su Pravda.ru cita numerosi casi in cui il sito ha pubblicato disinformazione filo-russa, anche riguardo all’invasione dell’Ucraina. Il sito ha un punteggio di 7,5 punti su 100 nel sistema di valutazione della credibilità di NewsGuard.
Newsguard non ci va per il sottile: l’accusa a Google è quella di finanziare tramite Google Ads la “Verità” di Vladimir Putin.
Alphabet ha chiaramente condannato gli attacchi in Ucraina e si è già mossa per ridurre la monetizzazione dei canali di propaganda su YouTube, ma secondo Newsguard la azioni sarebbero state blande e lacunose. L’accusa (ben poco velata) è quella di connivenza con la propaganda a fini di monetizzazione: non tanto una scelta dolosa, quanto una mancanza di coraggio nella ricerca di fonti da cui dissociarsi nel nome dei medesimi principi enunciati nelle proprie policy.
Secondo Newsguard, i siti di disinformazione guadagnano qualcosa come 2,6 miliardi di dollari ogni anno e buona parte di questi passa per i canali di Google. Un dito puntato in modo esplicito, ma che più in generale va letto come un’esame di coscienza per un Occidente che anche secondo Mario Draghi ancora non ha fatto adeguatamente corrispondere le giuste azioni alle buone parole spese fin qui.
La risposta di Google
Così un portavoce di Google, riaffermando l’impegno del gruppo con parole che non lasciano spazio ad interpretazione:
Il mese scorso abbiamo interrotto su tutte le nostre piattaforme la monetizzazione per i media statali russi. I nostri team stanno monitorando costantemente siti e canali nella nostra rete e sono pronti a ad agire in modo appropriato non appena rileveranno altri media finanziati dallo stato. Inoltre, tutti i publisher sono tenuti a rispettare le nostre attuali norme, che stiamo continuando ad applicare con decisione.