Abbandonato l’ormai arcaico pizzino, anche i fuorilegge del 2010 dimostrano di apprezzare Internet e i social network. Per questo motivo, la Corte di Cassazione si è trovata a doversi pronunciare sull’ uso di Facebook da parte di coloro che si trovano in regime di arresti domiciliari . Il casus decisus riguarda il ricorso del PM di Caltagirone, il quale si era visto negare dal GIP la richiesta di convertire in custodia cautelare in carcere gli arresti domiciliari per due imputati che, secondo il Procuratore, avevano violato il divieto di comunicazione con l’esterno attraverso l’uso del più popolare dei social network.
La suprema Corte italiana ritiene fondato il ricorso e circoscrive con attenzione i termini della questione. In particolare, la sentenza 37.151 afferma che “la generica prescrizione di non comunicare con persone diverse dai familiari conviventi va intesa nell’accezione di divieto non solo di parlare con persone non della famiglia e non conviventi, ma anche di entrare in contatto con altri soggetti, dovendosi ritenere estesa, pur in assenza di prescrizioni dettagliate e specifiche, anche alle comunicazioni, sia vocali che scritte attraverso Internet”.
Quindi, sotto esame non è Internet tout court , ma l’uso della Rete a scopo di comunicazione . La Corte, infatti, ammette l’uso del Web solamente con “funzione conoscitiva o di ricerca”, senza entrare in contatto con altre persone connesse.
Inoltre, prosegue la sentenza, l’eventuale violazione del divieto previsto dal Codice di procedura penale deve essere provato dall’accusa e non può essere presunto dal semplice uso del mezzo informatico. Così deciso, da oggi, oltre ai pizzini, gesti, comunicazioni televisive anche mediate, il generico divieto di comunicare imposto a chi si trova agli arresti domiciliari comprenderà anche tutte le interazioni online permesse dagli strumenti informatici.
Cristina Sciannamblo