No Green Pass? Smart working come mezza alternativa

No Green Pass? Smart working come mezza alternativa

Il Green Pass obbligatorio per gli ultra-50enni potrebbe aver determinato una impennata di smart working: ecco perché l'obbligo c'è, ma anche la scappatoia.
No Green Pass? Smart working come mezza alternativa
Il Green Pass obbligatorio per gli ultra-50enni potrebbe aver determinato una impennata di smart working: ecco perché l'obbligo c'è, ma anche la scappatoia.

Secondo quanto segnalato da La Stampa, con l’avvento dell’obbligo di Green Pass rafforzato per i lavoratori ultra-50enni sarebbe improvvisamente aumentato l’accesso allo smart working per la fascia di età in oggetto. Sarebbe questa, insomma, la risposta che aziende e dipendenti stanno cercando di portare avanti per superare l’ostacolo.

L’obbligo, infatti, al netto del fatto che si incastra in una strategia più ampia e con altri vantaggi di sistema, grava su due fronti: da una parte il lavoratore perde lo stipendio, dall’altra l’azienda si trova senza il proprio dipendente ed è costretto ad assunzioni temporanee per garantire la continuità operativa. Lo smart working potrebbe essere un compromesso che salva la situazione, consentendo alle parti un (più o meno tacito) accordo per proseguire l’attività.

Smart working per sfuggire al Green Pass?

Non è chiara la portata del fenomeno, ma potrebbe essere nell’ordine di qualche migliaio di persone. Occorre infatti partire da stime che vedono 1,2 milioni di non vaccinati tra 50 e 70 anni, almeno 500 mila in età lavorativa, poco meno con obbligo di vaccino poiché non guarite da meno di 180 giorni e solo in minima parte potenzialmente attivi anche da remoto (non certo tute blu, insomma). Quanti di questi hanno realmente tentato la strada dello smart working per ovviare al problema?

Parlare di “boom” sembra insomma esagerato, ma che un aumento possa esserci stato è possibile in virtù del fatto che lo smart working sembra suggerire una possibile scappatoia (segnalammo anche noi questo vulnus quando ancora il provvedimento non era stato messo nero su bianco). Del resto tutte le garanzie sembrerebbero sul piatto:

  • il lavoratore è in casa, dunque all’interno di una propria bolla
  • l’azienda non fa accedere un lavoratore vulnerabile
  • il divieto di accesso ai luoghi di lavoro non è un divieto a lavorare, ma un divieto a condividere spazi comuni

Lo smart working, che vorrebbe trovare una posizione nobile all’interno del mondo del lavoro, si accontenta di essere ruota di scorta in questa fase di passaggio. Ma è davvero così? Secondo il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, l’obbligo è esteso a tutti i lavoratori poiché il principio è quello di coprire una fascia d’età che rappresenta l’elemento fragile della platea complessiva. Laddove l’azienda non si trova costretta al controllo per l’accesso al luogo di lavoro, potrebbe pensarci lo Stato con controlli trasversali. Ma è davvero così? Tra le righe dell’intervista del sottosegretario appare chiaro come non si intenda andare troppo a fondo, sebbene la possibilità ci sia:

I controlli sono un’operazione più complicata rispetto alle verifiche sui luoghi di lavoro ma non escludo che ci possano essere. Ad oggi a chi non si vaccina sono precluse anche altre attività, come i trasporti, i ristoranti o i cinema. Quindi c’è anche un altro modo per controllare chi non è vaccinato.

In queste parole i non-detti valgono più dei concetti espressi e se lo smart working non è in teoria praticabile, nella pratica potrà essere un modo pratico per aggirare il problema. Salvo controlli.

Fonte: La Stampa
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Pubblicato il
16 feb 2022
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