Scrive Luca Sartoni: “Care aziende che decidete di spendere i vostri soldi in promozione sul web, quando qualcuno mette la parola viral dentro a qualcosa che vuole vendervi, alzatevi e lasciatelo lì, a bollire nel suo brodo, perché vi sta prendendo in giro. La viralità di un contenuto non la può, per definizione, decidere chi lo produce. Al massimo potrà renderlo spiritoso, interessante, divertente, equivoco, tutto quello che gli pare, ma non virale”.
Difficile non pensare a Paul Watzlawick e alle sue ” Istruzioni per rendersi infelici “, una delle quali è sforzarsi di seguire l’imperativo paradossale: “Sii spontaneo”.
Esattamente come non si può essere spontanei volontariamente, non si può progettare la viralità. La viralità capita. Le dinamiche di rete crescono in modo esponenziale perché sono incontrollabili, se cerchi di controllarle ti stai boicottando. Se non puoi permetterti di perdere il controllo, non puoi giocare su questo terreno.
Si può progettare e realizzare qualcosa di talmente utile/strano/divertente da invogliare le persone a “girarlo” ai propri amici, ma non chiedere di farlo. Si può fare in modo che sia incredibilmente facile e divertente farlo girare, questo sì.
E anche quando il giochino funziona, come nel caso dei popcorn “cotti” al cellulare , tormentone di YouTube poi rivelatosi una campagna pubblicitaria , siamo sicuri che questo serva a vendere più auricolari Bluetooth? Non mi sorprenderebbe che invece aumentassero le vendite di popcorn.;-)
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