No money, no enforcement!

No money, no enforcement!

di G. Scorza - In Italia fervono i lavori dell'antipirateria, ma le soluzioni devono ancora emergere. Mentre gli ISP francesi, già incaricati di agire da sceriffi e boia, non sono disposti a pagare per la macchina delle disconnessioni
di G. Scorza - In Italia fervono i lavori dell'antipirateria, ma le soluzioni devono ancora emergere. Mentre gli ISP francesi, già incaricati di agire da sceriffi e boia, non sono disposti a pagare per la macchina delle disconnessioni

Nei prossimi mesi, nel nostro Paese si tornerà, inesorabilmente, a discutere di enforcement ed antipirateria audiovisiva.
Due i fronti dai quali potrebbero arrivare novità.

A Palazzo Chigi, per quel poco che si sa, sarebbe al lavoro una task force istituita in seno al Comitato tecnico contro la pirateria audiovisiva presieduto dall’onnipresente Mauro Masi, Direttore Generale della RAI che, nelle prossime settimane – sempre che non si lasci risucchiare nel buco nero nel quale, fortunatamente, è, ormai da oltre un anno precipitato il Comitato che le ha dato i natali – potrebbe produrre nuove proposte di iniziative legislative che ben difficilmente brillerebbero per equilibrio e ragionevolezza.

A poche centinaia di metri di distanza, in un altro Palazzo del centro di Roma, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni è, d’altro canto, al lavoro per predisporre il testo del regolamento che il famigerato decreto Romani l’ha delegata ad emanare – passandole un’autentica patata bollente – in materia, appunto di disciplina dell’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale in relazione alla fornitura di servizi media audiovisivi.
Il varo del Regolamento AGCOM dovrebbe, davvero, avvenire nelle prossime settimane.
L’Autorità Garante nel suo recente studio sul diritto d’autore in Rete ha manifestato – occorre riconoscerlo – grande maturità e capacità di analisi delle dinamiche della circolazione delle opere audiovisive via Internet e ciò lascia sperare che il Regolamento sia altrettanto equilibrato e rifugga ogni approccio liberticida all’antipirateria.

È, tuttavia, indubbio che tanto a Palazzo Chigi che negli uffici dell’AGCOM, da più parti, in queste ore, qualcuno starà suggerendo di guardare a soluzioni alla francese , volte a trasformare gli ISP italiani in novelli sceriffi della Rete e, magari, a chiamarli a sanzionare gli utenti ritenuti pirati con la disconnessione e la conseguente privazione del diritto di accedere, tra l’altro, all’informazione ed ai servizi della pubblica amministrazione digitale cari al Ministro Brunetta.
Si tratta, come si è spesso già scritto, di un approccio liberticida e che buon senso e rispetto per le libertà fondamentali dei cittadini dovrebbero essere sufficienti a sconsigliare di imitare.

Qualora, tuttavia, qualcuno avesse intenzione di lasciarsi affascinare dalla dottrina dell’HADOPI cara a Sarkozy, sembra opportuno evidenziare – qualora la notizia fosse sfuggita – che in Francia, nelle scorse settimane, quattro dei maggiori provider d’oltralpe hanno preso carta e penna e scritto al Ministero della cultura e della Comunicazione che, pur avendo sin qui collaborato alla sperimentazione delle soluzioni necessarie all’implementazione della “macchina HADOPI” non hanno alcuna intenzione di trasformarsi in sceriffi della Rete e procedere ad identificazioni, disconnessioni e gestione delle lamentele degli utenti se il Governo non metterà mano al portafoglio e non provvederà a versare loro un adeguato compenso .
Sul costo complessivo che i provider francesi potrebbero vedersi costretti a sostenere una volta che la macchina HADOPI entrasse in azione, non c’è uniformità di vedute ma la cifra sembra oscillare tra i 50 e 70 milioni di euro l’anno.

Comprensibile, dunque, la posizione dei provider francesi che, naturalmente, non hanno alcuna intenzione di farsi carico di costi nell’interesse dello Stato o, ancor meglio, delle ricche major dell’audiovisivo.
No money, no enforcement è dunque il messaggio che France Telecom, Bouygues Telecom, Free e Numericable hanno recapitato al Ministero della Cultura.

Appare ragionevole ipotizzare – ed in questo che l’esperienza francese potrebbe risultare istruttiva per gli alfieri dell’antipirateria italiani – che analoga questione si porrebbe in Italia dove, ben difficilmente, gli ISP sarebbero disponibili a farsi carico dei costi delle attività di enforcement che Palazzo Chigi o Agcom dovessero loro imporre di eseguire.
Quei costi, d’altro canto, essendo agevolmente imputabili alla difesa di interessi di natura prevalentemente – anche se non esclusivamente – privata riconducibili a pochi, avrebbe senso che venissero coperti proprio dalle major dell’audiovisivo con l’apporto della monopolista di Stato per l’intermediazione dei diritti che raccoglie, ogni anno, milioni di euro al fine di poterli impiegare, tra l’altro, proprio in attività di antipirateria.

Auguriamoci, quindi, che a nessuno venga in mente di scrivere HADOPI in italiano ma, se accadesse, è bene sia chiaro che il costo della sua implementazione non potrà esser fatto ricadere né sugli ISP che poi si troverebbero costretti a rigirarlo sugli utenti né direttamente su questi ultimi. Ritrovarsi a pagare la lama e la corda della ghigliottina con la quale, qualcuno, domani potrebbe disconnetterci dal mondo in nome di una pretesa violazione dei diritti d’autore sarebbe davvero troppo.

Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it

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Pubblicato il
7 set 2010
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