“Vediamo sparire le stanze una dopo l’altra”, mi ha detto un amico il 27 giugno, mentre i server di C6 venivano via via disattivati insieme al servizio, tra malinconia e ricordi .
13 anni di uptime e non li dimostrava: quando i server sono stati accesi era settembre del 1998 e il mondo era abbastanza diverso, il mio ma penso anche il vostro. A settembre 1998 ero online da due anni, dopo un’escursione dieci anni prima nel magico mondo del Videotel. Mi ero presa una settimana di pausa dal mio lavoro di copywriter freelance per seguire la rassegna dei film del festival di Venezia a Milano, una pacchia mai vista. Tra un film e l’altro avevo a stento il tempo di accendere il cellulare (a cui avevo ceduto da soli tre anni) per trovare una serie di messaggi sempre più incalzanti “chiamami! è urgente! sbrigati! ma dove sei? ma che fai? RICHIAMA!”.
Al decimo messaggio mi rassegno e richiamo e la sera dopo sono a fare un colloquio come “community manager”, cioè il mio primo lavoro importante preso perché “so che chatti molto”, “sì, lo so che non capisci niente di computer” e “qualcosa ti inventerai”. Era il 1998 e per chi non c’era vale la pena ricordare che Internet anche in Italia era una promessa eccitante chiamata “new economy”: lo SMAU di quegli anni aveva un’importanza pari al Salone del Mobile, e per presentare C6 e Atlantide (la web community collegata) avevamo organizzato non una, ma due feste.
Al mio primo giorno di lavoro ho deciso che se io non sapevo che cosa fare, figuriamoci gli “animatori” che avrei dovuto gestire, un gruppo di dodici persone pagate per fare assistenza in chat dalle 10 di mattina alle 3 di notte. Mi sono messa lì e ho scritto un documento di dieci pagine su quello che mi aspettavo da loro, i consigli, le richieste, i report ed ecco che sì, qualcosa mi ero inventata, insieme a un migliaio di persone sparse per il mondo che nello stesso momento mettevano le basi per tutto quello che è successo negli anni a venire (scoppio della bolla e nuova bolla comprese). Le web community, i blog e poi i social network: progettarli e gestirli è durissima, ma sempre meglio che lavorare.;-)
Non so e non voglio sapere perché abbiano chiuso C6, che continuava a essere abbastanza frequentato e molto amato: salutato con una festa molto commovente, era ed è una delle poche tecnologie tutte italiane ad aver attraversato la storia della Internet commerciale. Non mi interessa tanto farne un necrologio, quanto raccontare quanto quel “inventarsi un lavoro” sia stato importante per me e per tutti quelli dietro a C6 e ad Atlantide. Per fare il community manager di Atlantide ho abbandonato il mondo della pubblicità per quello della tecnologia (almeno così mi sembrava), un mondo agli albori ma già ricco di competenza (almeno così mi sembrava). Non era così, ero semplicemente stata scelta da un gruppo di persone tra le persone più competenti e brillanti con cui mi sia mai capitato di lavorare, posizionando l’asticella delle mie aspettative così in alto da rendermi assai difficile dopo accettare la realtà lavorativa fuori da quel giro.
Paolo Prestinari, Davide Romieri, Antonio Saponaro e Larissa Meani in TIM/Telecom, Diego Biasi e Pietro Montefusco in Business Press, Paul Borile e Francesco Riglietti in Icona, Paolo Ventafridda in Bware: nel 1998 ho avuto la fortuna di lavorare con persone che inventandosi un lavoro (come me) lo sapevano già fare meglio degli altri. Non lo racconto per farne un ritratto elegiaco, ma perché penso che la chiave fosse proprio quella consapevolezza di aprire e tracciare una strada sperimentando in continuazione, senza drammatizzare la sperimentazione. Con loro ho imparato a progettare l’improvvisazione, che è l’unica strada possibile tra improvvisare e controllare, forse l’unico modo per sopravvivere godendosi l’incertezza invece di subirla.
Mafe de Baggis
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