Il mio caro amico Massimo Mantellini , tirandomi in ballo nel suo ultimo Contrappunti , mi fa la cortesia di citarmi, ma lo fa a metà, dicendo solo cosa secondo me Twitter non è (un social network). Ne approfitto quindi per completare la frase: per me (e non solo) Twitter è una piattaforma di microblogging che favorisce il crowdsourcing di notizie (dall’inutile al banale al fondamentale).
Twitter ha molto più a che fare con i blog che con i social network e capirlo pienamente – sia per uso personale che per uso professionale – è importante, non per amor di precisione, ma per evitare di disperdere energie. Il punto non è far bella figura a Trivial, ma avere ben presente che nei social network si gioca e si vince sulle relazioni, con i blog e con Twitter si vince con i contenuti (o, se sei una “celebrity”, con le aspettative sui contenuti). Detto altrimenti: se su Facebook accetti come amici degli sconosciuti rischi di ammazzarti dalla noia, se su Twitter segui solo i tuoi amici rischi di non capire a che cosa serve e di perderti utilità e divertimento.
Questo vuol dire che i blog e Twitter non sono social media? Certo che no: vuol dire che sui blog (e sui microblog) scopri delle persone interessanti che non conoscevi, sui social network le frequenti dopo averle conosciute.
Come scrive Alessandra Farabegoli su Friendfeed : “io faccio molta più conversazione su Twitter che qui, ormai, soprattutto con gli sconosciuti”. Far conversazione e amicizia con gli sconosciuti è una caratteristica delle online community di prima generazione, una caratteristica che chi ha scoperto Internet attraverso i social network simmetrici rischia di perdere del tutto. Su Facebook chiacchieriamo con chi già conosciamo e partiamo da loro per conoscere persone nuove, restando però sempre in ambiti circoscritti dal meccanismo del “friend of a friend”. Un meccanismo che comunque contribuisce ad allargare le proprie reti e a fare “bridging” tra realtà diverse invece di limitarsi a fare “bonding” con chi frequentiamo già. È difficile però avere un amico o un amico di un amico in Piazza Tahrir o alla Camera o a un convegno a San Francisco, tutti contenuti frequenti su Twitter a patto di vederlo, appunto, come un contenitore di microblog e non come un social network in cui scopri quanto ha bevuto tuo cugino alla cena di laurea.
Non a caso con le ultime evoluzioni anche Facebook si avvia all’asimmetria, permettendo di seguire gli aggiornamenti di qualcuno che non reciproca “l’amicizia”: da questo punto di vista Facebook contiene entrambi i mondi, sia il circolo intimo di amici sia le community emergenti in base ad affinità di interessi (i gruppi e le pagine aziendali).
Certo, anche Twitter può essere usato per tenersi in contatto con i propri amici intimi (usando il lucchetto, per esempio), ma non è la piattaforma più comoda dove farlo. L’interfaccia su Twitter oggi privilegia la condivisione pubblica dei contenuti e favorisce la scoperta di contenuti nuovi, anche se possiamo stare tranquilli che se gli utilizzi privati dovessero aumentare Twitter cambierebbe con i comportamenti degli iscritti, ancora una volta. Come raccontava Vladimiro Mazzotti di H-Farm durante l’ incontro “The end of cash”, Jack Dorsey, il fondatore di Twitter, ha dichiarato che il successo di Twitter sta proprio nel non aver indicato o forzato un uso prevalente e nell’aver saputo intuire e assecondare gli utilizzi reali delle persone.
Tutto questo è importante solo se abbiamo un obiettivo preciso da raggiungere, il che richiede un minimo di pianificazione editoriale: su Twitter i 140 caratteri non sono una gabbia, ma un formato che valorizza rilevanza e arguzia e premia chi sa usarli avendo ben chiaro il contesto.
Per tutti gli altri casi vale sempre il principio del “se non capisci a cosa serve, non ti serve”. E se nel frattempo Mantellini vuole passarmi i suoi 17.798 follower li accolgo volentieri.
Mafe de Baggis
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