Quella strana sensazione di aver già visto o vissuto qualcosa, hai presente? Gli psicologi lo chiamano “déjà vu”, un fenomeno frequente, poco spiegato, sgradevole e soddisfacente allo stesso tempo. In Matrix il déjà vu evidenzia un bug del software che disegna la realtà virtuale in cui gli umani credono di essere liberi: è un punto di contatto tra mondi paralleli, un momento in cui sfioriamo il mistero e rimaniamo come paralizzati per un microsecondo.
A me piace pensare che qualunque innovazione – tecnologica e non – sia un grande piccolo dèjà vu per chi ne coglie al volo l’importanza: mi piace chiamarla dèjà new , qualcosa che vedi per la prima volta ma riconosci lo stesso. Non è un caso che le vere grandi innovazioni non abbiano bisogno di un manuale di istruzioni: tu vedi una ruota e capisci che per farla “funzionare” devi appoggiarla di taglio, non di piatto, tocchi un iPhone e da quel momento in poi qualunque schermo non risponda al tatto ti sembrerà “sbagliato”. Che bisogno c’è di spiegare a cosa serve uno strumento che aumenta a dismisura le tue possibilità di comunicare con altri esseri umani?
A me piace pensare che non ci sia bisogno di alfabetizzazione tecnologica e di divulgazione digitale, ed è un pensiero allo stesso tempo ottimista e disperato: non ce n’è bisogno perché la recente velocissima evoluzione degli strumenti di comunicazione e di partecipazione è un dèjà new per moltissimi, per tutti quelli che li usano e basta: ed è probabilmente incomprensibile – per sempre – a tutti gli altri. È variante sociale di una frase tipica dei litigi di coppia “se non lo capisci da solo è inutile che te lo spieghi”.
Quando guardo una chat, un blog, un social network, un disco condiviso, io non vedo una “novità”: io vedo il modo migliore di soddisfare un bisogno preesistente, un bisogno basico per ogni essere umano e cioè coltivare la relazione con gli altri. Ogni nuovo strumento di comunicazione – dalle incisioni rupestri di Altamira alla stampa a caratteri mobili, al telegrafo, fino al Kindle – è un passo avanti in un percorso equilibrato di aumento delle possibilità di accesso ai contenuti (prima in lettura, oggi in scrittura) e alle altre persone (prima nello stesso luogo, poi nello stesso tempo, oggi a prescindere dal luogo e dal tempo).
Internet non è un cambiamento di percorso, è un passo avanti sullo stessa traiettoria: come tutte le nuove forme di comunicazione viene accettata al volo dagli esseri umani e combattuta dal potere.
Come ho raccontato di recente alla presentazione della seconda edizione di Anteprima , un po’ intimidita dalla presenza di Manuel Castells , chi rifiuta uno strumento che aumenta a dismisura le nostre possibilità dirette di accesso ai contenuti e ai nostri pari non sta rifiutando il “computer”, la “tecnologia”, ma sta dicendo no alla collaborazione, alla socialità, all’impegno, alla libera espressione.
Oggi più che mai: chi ti dice che vuole regolare “Internet” si sta autodenunciando come qualcuno che vuole regolare la tua libertà di comunicare, informare, partecipare, agire senza dover chiedere il permesso a un potere centralizzato.
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